Il fenomeno delle dimissioni: problema o opportunità?

C’è un gran dibattito pubblico per comprendere meglio le ragioni di questa accelerazione, se si tratti di un cambiamento strutturale o temporaneo, e soprattutto se sia indice di un possibile mutamento di prospettiva delle persone verso il mondo del lavoro, in seguito alla pandemia. Ma quello che a prima vista sembra un cedimento del sistema, potrebbe invece rivelarsi un ottimo stimolo con ricadute positive per lavoratori, imprese e politica

di Associazione Palco (Politiche Attive, Lavoro e Collaborazione)


Nell’ultimo anno il fenomeno delle “grandi dimissioni” ha creato forte interesse, a partire dagli Stati Uniti, dove il tasso di dimissioni volontarie dal lavoro è cresciuto nel secondo trimestre del 2021 fino al 20-30%. In Italia la crescita delle dimissioni è meno marcata, ma comunque rilevante, registrando ad esempio un aumento del 10% nel II trimestre 2021 (rispetto al corrispondente trimestre del 2019).

Per quanto riguarda l’Emilia-Romagna, secondo il rapporto Ires, le dimissioni nel 2021 sono aumentate addirittura del +39,7% e, restringendo il campo alle dimissioni nei contratti a tempo indeterminato, è l’amministrazione pubblica (sanità, istruzione e assistenza sociale) a segnare l’aumento più alto negli anni della pandemia (+79%).

C’è stato un gran dibattito pubblico per comprendere meglio le ragioni di questa accelerazione, se si trattasse di un fenomeno strutturale o temporaneo, e soprattutto se fosse indice di un possibile mutamento di prospettiva delle persone verso il mondo del lavoro, in seguito alla pandemia. 

Due chiavi di lettura principali spiegano questa crescita di dimissioni. La prima è quella più economica: la ripresa delle attività produttive, e quindi della domanda di lavoro, il ricollocamento dei lavoratori verso posti a più alto reddito, il crollo di alcune attività economiche e l’esplosione di altre. Sintetizzando: nuova dinamicità del mercato del lavoro. La seconda chiave di lettura è invece più psicologica e riguarda una mutata prospettiva verso il lavoro. Sondaggi mostrano che cresce il desiderio di conciliare vita privata e occupazione, anche grazie all’esperienza forzata dello smart working durante il lockdown. Per alcuni sono cambiate le priorità di vita, anche a seguito dei momenti più drammatici della pandemia e del contatto con la fragilità. Alcuni parlano di “Yolo economy” (“You Only live Once”) per sintetizzare questo approccio, ripreso soprattutto dalle nuove generazioni.

Molti economisti hanno sottolineato la prevalenza delle cause basate sulla ripresa della domanda del lavoro nel caso italiano, rispetto agli Stati Uniti, dove invece le dimissioni continuavano in maniera marcata anche con alti tassi di disoccupazione. Alcuni racconti giornalistici del “lascio il posto fisso e cambio vita” non sembrano corroborati dai dati delle Comunicazioni Obbligatorie dei rapporti di lavoro ai Centri per l’Impiego (2021): le dimissioni sono aumentate rispetto al periodo pre-pandemico soprattutto per i laureati, con effetto crescente con il crescere dell’età, per i contratti a tempo determinato, attivi da pochi anni, e in misura maggiore per settori come le costruzioni e la sanità. L’evoluzione di questi dati preliminari ci mostrerà se questo fenomeno si consolida o meno.

Quello che appare interessante però è che il tasso di dimissioni (numero di dimissioni per trimestre sul numero di occupati) è in crescita da diversi anni, da ben prima della pandemia, passando da valori dell’1,8% a inizio 2017 e fino a tassi del 3% (inizio 2022). Sembra più convincente quindi la spiegazione che vi fosse già un cambiamento latente, accelerato dalla pandemia. Il mondo del lavoro negli ultimi decenni sembra cambiare dal punto di vista sociologico e generazionale, dove mentre una volta era prevalente la ricerca di uno stipendio e della sicurezza del posto, nel tempo sono cresciuti di importanza altri elementi: la ricerca di soddisfazione personale e l’“autorealizzazione”, un maggiore equilibrio tra “reddito” e “senso”, tra lavoro e vita privata (work-life balance), la necessità di un buon clima aziendale, con meno gerarchia e più cooperazione, il desiderio di trasparenza e di coinvolgimento. Allo stesso tempo sembra cresciuta la voglia di cambiare e di provare nuove esperienze, una maggiore coerenza tra lavoro e valori personali (cresce ad esempio l’attenzione verso il tema della sostenibilità ambientale), la voglia di ottenere riconoscimento e impatto nella società, il ragionare per obiettivi.

Certo il lavoro è andato maggiormente polarizzandosi, creando dei settori per lavoratori più benestanti (dove si può scegliere tra diversi lavori) e settori più poveri (“working poor”), dove si fatica a raccogliere uno stipendio adeguato per mantenere la propria famiglia. Molti hanno dovuto poi dimettersi costretti dalla cura dei figli e per condizioni di burn-out (nella sanità per esempio). Il fenomeno non riguarda tutti allo stesso modo ed è estremamente composito.

Cionondiméno riteniamo che la crescita delle dimissioni potrebbe essere un ottimo stimolo sotto diversi punti di vista: per i lavoratori, per orientarsi in scelte più consapevoli e più allineate ai propri desideri e alle proprie motivazioni; per le aziende, per attuare migliori strategie per “tenersi” i lavoratori migliori, innovando l’organizzazione del lavoro, centrandola di più sulla “libertà responsabile” e non sul “controllo”, creando leadership più inclusive e motivanti e offrendo percorsi di crescita professionale. Per la politica, anche con il coinvolgimento dei sindacati: aumentare strumenti legislativi e incentivi per bilanciare meglio vita privata e lavorativa e rafforzare gli strumenti di formazione (i lavoratori che si dimettono devono essere spesso formati nuovamente). Infine, quello che conta di più, per rimettere al centro la cura e il benessere della persona, rendendo più appagante la vita lavorativa e quindi la qualità della nostra vita.


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