Dal 13 al 18 settembre la manifestazione, rivoluzionata nella formula, torna nella nostra città, che tra il 1937 e il 1976 l’ha ospitata cinque volte registrando altrettanti successi. L’ultima, quarantasei anni fa, all’inizio di un percorso che portò alla conquista del trofeo nel Cile insanguinato di Pinochet
di Marco Tarozzi, giornalista
Quasi mezzo secolo è davvero una vita, soprattutto quando si parla di grandi eventi sportivi. Ma a passar sopra all’indifferenza della storia ci aiuta la contingenza: vero, la Coppa Davis torna a Bologna dopo quarantasei anni, ma lo fa in un momento particolarmente felice per il tennis italiano.
Quasi un filo che si riannoda: passò per l’ultima volta nel 1976, quando il movimento azzurro era ai vertici internazionali, torna tra poco più di un mese, dal 13 al 18 settembre alla Unipol Arena, proprio mentre “arrivano i nostri” ai piani alti della lista Atp. Con Sinner e Berrettini a ridosso delle prime dieci posizioni (rispettivamente 12mo e 14mo in queste ore), Lorenzo Musetti in continua ascesa dopo l’exploit al German Open di Amburgo, dove ha conquistato il primo titolo del circuito battendo Alcaraz, numero 4 al mondo; e con ben diciassette cognomi italiani tra i primi duecento della classifica.
AI VERTICI. Capitan Pippo Volandri penserà nei prossimi giorni alle convocazioni, ma intanto il nostro movimento si gode certezze mai così solide da anni. Paolo Bertolucci, uno dei moschettieri di quell’Italia del 1976 e oggi commentatore Sky, ha tratteggiato con una sintesi perfetta i profili dei “magnifici tre” del momento: «Jannik Sinner è un bomber in ascesa, Matteo Berrettini un capitano che dà sicurezza, Lorenzo Musetti la fantasia al potere. Con questi tre, possiamo vincere su qualunque superficie». Al debutto azzurro in singolare, contro la Slovacchia a Bratislava, Musetti è risultato decisivo. Ma subito dietro ci sono talenti come Fognini e Sonego, senza dimenticare Simone Bolelli, l’altra metà di Fabio Fognini in un doppio quanto mai collaudato, che a Bologna potrebbe vivere la sua ultima grande occasione da profeta in patria.
GRANDI NUMERI. Che il magic moment non sia passato inosservato lo dice la prevendita: sono già quasi 12mila i biglietti venduti, con prospettive di tutto esaurito nei giorni in cui l’Italia scenderà in campo. Come è noto, la formula della Davis è stata rivoluzionata nel 2019: sedici nazioni divise in quattro gironi, con le prime due classificate che accederanno ai quarti di finale. A Bologna sarà di scena il Gruppo A: insieme all’Italia la favorita Croazia, e ancora Argentina e Svezia, due nazioni il cui prestigio nella disciplina è scritto più nella storia che nel presente, ma dalle quali bisognerà guardarsi con attenzione. Gli azzurri debutteranno il 14 settembre proprio contro la Croazia: tre match, due di singolare e il doppio, che saranno immediate risposte sulla forza del gruppo.
CITTÀ PORTAFORTUNA. Guai a sedersi comodi sulle glorie passate, ma ricordarle fa bene. Perché quando la Coppa Davis è passata da Bologna ne è sempre uscita col sorriso. A cominciare da ottantacinque anni fa: la prima volta fu nel 1937, quando al campo centrale del monumentale Littoriale il successo sul Principato di Monaco fu senza storia, un secco 5-0. Furono i giorni del debutto in Davis di un bolognese, il virtussino Vanni Canepele, arrivato al tennis dalla pallacanestro: era nel roster della Virtus terza in Serie A nella stagione 1938-39. Col tempo, della squadra di Davis sarebbe diventato capitano.
SCUOLA BOLOGNESE. Nel 1952, esattamente settant’anni fa, Rolando Del Bello e il quasi debuttante Fausto Gardini sconfissero 4-1 la Gran Bretagna di Mottram e Paish sui campi della Virtus Tennis. Quattro anni dopo il 4-1 sulla Danimarca fu un capolavoro di… scuola bolognese: alla Virtus appartenevano Orlando Sirola e Beppe Merlo, che nell’ultimo singolare batté Torben Ulrich, che poi divenne semplicemente il padre di Lars, batterista dei Metallica. Ma anche il terzo azzurro, Nicola Pietrangeli, aveva passato lunghi periodi di formazione in via Valeriani.
Dieci anni dopo proprio Pietrangeli, ormai numero uno in Italia, fu protagonista del 4-1 rifilato all’Unione Sovietica sui campi del glorioso Circolo Tennis, insieme a un Sergio Tacchini a un passo dall’addio al tennis giocato.

PRIMA DEL TRIONFO. L’ultima volta arriva in un anno indimenticabile. È l’inizio della marcia azzurra in Davis del 1976, ancora una volta sui campi del Circolo Tennis ai Giardini Margherita. C’è da superare la Jugoslavia di Franulovic e Pilic, già finalisti al Roland Garros: ne esce un clamoroso 5-0, Pietrangeli ormai è capitano non giocatore e in campo ci vanno Panatta, Bertolucci, Barazzutti e Zugarelli. È “la Squadra” che arriverà ad alzare quella pregiatissima insalatiera nel Cile insanguinato di Pinochet, che Panatta e Bertolucci provocheranno nel silenzio dei media indossando una maglietta rossa nella gara di doppio, in segno di solidarietà nei confronti di un popolo oppresso. Ai tempi se ne parlò poco, come ha ricordato l’ideatore del gesto, Adriano Panatta: «Se nessuno capì fu grave, se qualcuno capì e fece finta di niente fu più grave ancora». Ma questa è un’altra storia, anzi è la Storia. Di cui è parte Bologna, città che per il tennis italiano è stata fondamentale. Lo ha ribadito Angelo Binaghi, presidente federale, prima di questo appuntamento: ed è un’assicurazione sul futuro.
In copertina: Beppe Merlo in campo nella Coppa Davis 1956 (Photo credits: Archivio Fit)