Una delle realtà più longeve dell’appennino nacque quando la Repubblica era agli albori e il Paese doveva essere ricostruito. Ma il miracolo italiano in certe aree fu sboom: lo spopolamento era la regola, la politica le abbandonò. L’impresa restò attiva, manutenendo una delle zone più franose d’Italia, ma allargò i suoi orizzonti fino a Bologna. La lezione è che certi territori si salvano se si facilitano i trasporti, le infrastrutture e nuovi servizi che consentano una vita sociale a chi resta
di Claudio Borri, socio e responsabile amministrativo della cooperativa edile
Sabato 17 settembre festeggiamo 75 anni di vita. Un traguardo che fa della Cooperativa di Produzione e Lavoro di Castel dell’Alpi una delle realtà più longeve della montagna bolognese: vorremmo che fosse la festa di tutti, qui in paese. È dall’immediato dopoguerra che ci occupiamo di edilizia sul territorio. Basti pensare che il lago di Castel dell’Alpi, che impreziosisce il panorama del nostro appennino, si formò ben quattro anni dopo la fondazione della nostra azienda, la cui sede è ancora quella che i cooperatori costruirono con le loro mani a partire dagli anni ’70.

Ringrazio Cantiere Bologna per lo spazio concesso, perché da lavoratore dell’edilizia so bene quanto è importante che la montagna diventi finalmente un grande cantiere rivolto al futuro. Bologna è anche la sua montagna. Non siamo esperti di politiche per lo sviluppo delle aree periferiche, ma credo che l’esperienza di lungo corso – vorrei direi la militanza – qui tra i monti ci legittimi a dire la nostra su questo tema, a partire proprio dal dato esperienziale. La storia della Cooperativa di Produzione e Lavoro di Castel dell’Alpi incomincia quando la Repubblica italiana era agli albori, la Costituzione attendeva ancora di entrare in vigore e il Paese di essere ricostruito. A Castel dell’Alpi si rimboccarono le maniche e trovarono nella forma cooperativa lo strumento adatto a fare quello che serviva per il territorio, dando lavoro a chi decideva di rimanervi. I nostri predecessori ricostruirono ponti, strade, chiese e campanili. In vista delle celebrazioni ho sfogliato i vecchi libri dell’azienda: c’era entusiasmo perché si sentiva il fermento della nuova epoca, che qui però non arrivò mai davvero.
Nell’epoca che fu chiamata “miracolo italiano”, per la nostra montagna si arrivò a parlare di “boom economico a rovescio”. Lo spopolamento era la regola. Aziende come la nostra ebbero funzione di argine, continuando a dare lavoro e a lavorare al fianco delle istituzioni locali per manutenere quella che è stata definita “una delle zone più franose d’Italia”. Il trend rimase decisamente sfavorevole per molti anni. Tanto che anche politica finì per ritenere la montagna una causa persa. Oltre a noi, qui rimasero gli anziani e un po’ di villeggianti (di villette, ne abbiamo costruite varie in questi 75 anni!). Si apriva il nuovo millennio e la vitalità della montagna era quasi annullata.
Avemmo la prontezza di ampliare lo sguardo all’intera area metropolitana e incominciammo a lavorare molto a Bologna, nella pianura, allungandoci fino a Imola, pur rimanendo presenti tra i nostri monti. Di qui la prima lezione: chi lavora in montagna dev’essere facilitato il più possibile nei movimenti verso le aree urbanizzate. Investire sulle infrastrutture è quindi prioritario perché la morfologia del territorio non si traduca in isolamento. Credo che altrettanto strategica possa rivelarsi la valorizzazione delle potenzialità dell’immateriale. E siamo al secondo grande tema, quello delle infrastrutture digitali, la connessione. Sembra che i tempi siano maturi per introdurre nuovi modi di lavorare, penso allo smart working, ampiamente sperimentato durante la pandemia. Oggi sono molti coloro che preferirebbero vivere in ambienti salubri e distensivi come offerti dagli appennini. Il fatto di poter lavorare da casa e non dover tutti i giorni attraversare lunghe distanze, traffico e strade impervie per raggiungere il posto di lavoro, potrebbe favorire progetti di vita più decentrati. Ovviamente lo smart working non basta, servono servizi capillari – le giovani coppie devono poter mandare a scuola i figli, per esempio – e si deve ricostruire quel minimo di tessuto economico che rende vitale un luogo.
Sarà un lungo percorso: ci vuole un progetto politico lungimirante, che faccia buon uso della tecnologia. Le aree di montagna coprono circa il 40% del territorio regionale: senza la montagna, la Regione e le sue città sono incomplete. Negli ultimi anni la politica sembra averlo accettato, ma per ridurre i divari generatisi in sette decenni serve cura, pazienza. La montagna non è una causa persa e la Cooperativa di Produzione e Lavoro di Castel dell’Alpi è qui a testimoniarlo.
Photo credits: Zebra48bo (CC BY-SA 4.0)