A Bologna si apprezza la trascuratezza, ma questa è reazionaria e anti-popolare, perché quando diventa generalizzata può evitarla solo chi ha i soldi. All’opposto, il prendersi cura delle cose insieme è di sinistra, perché tutti possano goderne
di Stefano Cavallini, cittadino
Il piano del Comune per cancellare i graffiti ha riacceso il dibattito sul degrado. I cittadini non lo sopportano, mentre alcune aree politiche, come la sinistra “radicale”, lo difendono. Ma cosa ne pensano i diretti interessati nonché principali produttori (almeno in centro), cioè i giovani? A giudicare dalle numerosissime scritte sui muri del tipo “a mio agio nel disagio”, “diffondi il degrado”, “degrado mon amour”, “questo muro è troppo pulito” e simili sembra che non solo lo adorino, ma addirittura lo rivendichino con orgoglio.
Perché ciò avviene? Il motivo, azzardo, è perché il degrado è diventato un fattore identitario. Se così fosse non ci sarebbe da stupirsi: in una società in cui gli è stato strappato tutto, in un Occidente in macerie sul filo del collasso climatico, dopo una Pandemia e durante una guerra, in un paese che nega i loro diritti, li schiavizza e gli propone salari da fame, il degrado diventa un atteggiamento a cui aggrapparsi, gratificante, immediato e di facile applicazione, perché agisce in negazione.
Inoltre, per anni certo dilettantesco culturame massimalista (di cui Bologna è la capitale) alla Christian Raimo ha fatto intendere che il degrado è piacevole e apprezzabile, perché artistico, proletario e rivoluzionario. Queste forze, per le quali falciare un prato significa gentrificare, si dedicano con forza al rifiuto dell’eleganza e della pulizia perché sono convinte, ragionando esattamente come ragionano le classi dominanti, che esse siano attributi della ricchezza, invece che del bello e del sano, che in una società equa (e socialista) dovrebbe essere fruibile per tutti. I giovani, per queste frange, in quanto generalmente poveri, devono rispettare lo stereotipo estetico della loro classe, quindi apparire trasandati e produrre degrado, perché il decoro è un problema da fascisti bigotti.
Così si dedicano compiacenti ad affondare per gioco nel disagio, esteriore e spirituale. La fragilità, il malessere e il fallimento vengono introiettati come tratti generazionali e riprodotti a catena, con grande gioia del sistema culturale italiano che vi ingrassa sopra. Essi si applicano per apparire (ma non essere davvero) feccia white trash definita per contrasto, identificandosi in maniera totale al modo in cui li disprezza chi detiene il potere, senza pensare che quando il povero si pensa anche per finta come lo pensa il ricco, quest’ultimo ha vinto e ogni tentativo di lotta di classe è neutralizzato. Essi si scagliano con forza contro tutto ciò che è bello, antico, ben fatto, elegante e piacevole alla vista, perché concepiscono solo il contemporaneo (o meglio l’a-storico), rivelando un brutale conservatorismo.
Ecco dunque la fascinazione perversa per la decadenza, la rozzezza, le brutture, la violenza, il caos e i disturbi psichici, in cui “fare schifo” diventa motto di resistenza al capitale senza capire che ne fa il gioco, divertissement beffardo bohèmien e rifugio consolatorio. Si tratta tuttavia di un degrado puramente cosmetico, privo di sostanza e incoerente (perché poi non vogliono giustamente accettare il degrado reale di guadagnare settecento euro al mese per un full time vivendo in una topaia) che infatti trova la sua dimensione ideale sui social. Si idolatrano personaggi cittadini come la “Controlla”, ma nessuno vuole vivere come lei.
Le ridicole frasette pseudo poetiche sui muri, il cui valore artistico è zero, non sono altro che la riproposizione delle tendenze egotiche e pubblicitarie delle didascalie su Instagram, che ne riproducono il sovraccarico visivo e infatti su Instagram vengono postate. Lo stile è quello di incapaci come Gio Evan o Andrew Faber. Ecco che i muri diventano sfogatoi e bacheche, riproponendo nel tessuto cittadino le orribili dinamiche dei social.
Il degrado dei giovani è un lusso folkloristico e borghese, perché chi davvero conduce un’esistenza misera lotta con tutte le forze per migliorarla, non vuole stare ancora peggio. Incitare a questo feticismo del degrado è un’offesa mortale a chi non arriva a fine mese, chi è cassaintegrato, chi vive per strada, chi soffre di un disagio psichico reale.
In ultimo, a Bologna si apprezza la trascuratezza, ma questa è reazionaria e anti-popolare, perché quando diventa generalizzata può evitarla solo chi ha i soldi. All’opposto, il prendersi cura delle cose insieme è di sinistra, perché tutti possono goderne.
Questo va capito profondamente.
Photo credits: Luna Zhang
STEFANO Cavallini ha capito perfettamente e merita un applauso.
Analisi perfetta da diffondere. Messaggio che dovrebbe arrivare ai giovani in questione per sollecitare una riflessione critica e per stimolare una coscienza di classe e un impegno anti-sistema ben più efficace.
Ringrazio Cavallini per aver messo in chiaro sensazioni e pensieri confusi che mi animano da sempre.
Analisi perfetta, gioire del degrado per essere stato tu a crearlo. Obiettivo raggiunto