Le biblioteche degli oggetti e la crescita qualitativa

Leila-Bologna, in via Luigi Serra, è un luogo che crea valore in molti modi diversi, rifuggendo la logica del profitto a ogni costo in nome di principi come la difesa dell’ambiente, la riduzione degli sprechi, il minor uso delle risorse primarie e l’accesso più equo e diffuso a risorse e beni

di Barbara Di Gennaro Splendore, storica della scienza, socia di Leila-Bologna


In un anno da Leila Bologna ho preso in prestito: due zanzariere per la casa in affitto, l’affettatrice per il prosciutto che mi hanno regalato, una centrifuga – i centrifugati aiutano ad affrontare il caldo, provare per credere – e una tenda da campeggio per i ragazzi. Tutto lasciando in condivisione delle cesoie e una tenda più grande che stavano in cantina a impolverarsi. Mi sono anche divertita a provare oggetti nuovi che probabilmente non acquisterei mai, come un massaggiatore elettrico e un diffusore a ultrasuoni.

Trovo particolarmente piacevole prendere oggetti in prestito da Leila perché so di dare un contributo per ridurre gli sprechi e aiutare l’ambiente e, perché no? Risparmio anche qualcosa.

Leila Bologna è una delle novanta e più LoT (Library of Things, o Biblioteca degli Oggetti) già attive al mondo. Al cuore del progetto delle biblioteche di oggetti sta il concetto chiave della sharing economy, che sposta il focus dal possesso individuale all’accesso a beni e servizi attraverso il prestito e l’affitto. L’organizzazione delle biblioteche degli oggetti può variare molto. Alcune, per esempio, accettano donazioni permanenti, altre invece acquistano oggetti nuovi o di seconda mano. Leila Bologna chiede a ciascun socio di mettere un proprio oggetto in condivisione temporanea. Al di là delle differenze, le biblioteche di oggetti condividono alcuni valori di fondo: difesa dell’ambiente, riduzione degli sprechi, minor uso delle risorse primarie, accesso più equo e diffuso a risorse e beni. Partendo da questi valori, si genera infatti valore.

Le biblioteche di oggetti creano valore in molti modi diversi. Uso la biblioteca locale come esempio. Leila-Bologna crea valore in termini di accessibilità: il prestito è aperto a tutti i soci. Con una tessera annuale di pochi euro e anche con un solo oggetto in condivisione, si ha accesso a tutte le cose portate dagli altri soci. Si crea valore anche in termini di fiducia. Condividere un proprio oggetto significa infatti fidarsi di chi lo prenderà in prestito e prendere in prestito significa promettere fiducia nell’utilizzare beni altrui. Valore creato anche in termini di ambiente. Ogni oggetto che non viene comprato o gettato via permette di risparmiare energia, emissioni di gas serra, utilizzo di risorse primarie, scarti e sprechi. Oltre a aumentare lo spazio-cantina a disposizione del socio. C’è poi un valore in termini di relazioni: la biblioteca è luogo di ritrovo per i volontari e per i soci, ospita un co-working, e con la cargo-bike i volontari organizzano laboratori per bambini. Infine, valore in termini di conoscenza: intorno a alcuni utensili si crea anche condivisione di saperi. Come si usa il seghetto alternato? Te lo spiega un volontario in laboratorio.

Il valore che le biblioteche degli oggetti creano è evidente e intuibile, ma è anche difficilmente quantificabile. Siamo mentalmente e materialmente confinati all’interno di un sistema che ragiona e funziona in termini di quantificazione e profitto. Il valore che producono le biblioteche degli oggetti risulta “improduttivo” perché non crea ricchezza, non produce, e non trova posto, tanto per fare un esempio, nei calcoli per il Pil. Non sorprenderà dunque che le biblioteche degli oggetti di tutto il mondo condividono il problema della sostenibilità economica e dell’autosufficienza. Il problema sta nelle logiche politiche ed economiche al cui servizio stanno strumenti come il Pil (che andrebbe forse mandato in cantina, lui sì). Ci sono invece altri indici che oltre al Pil comprendono la misurazione dell’istruzione o dell’aspettativa di vita alla nascita, come l’Isu (Indice di sviluppo umano) e il Phdi, che misura la pressione umana sul pianeta. Ma quale indice numerico potrà mai esprimere la gioia di vedere Luwam, appena arrivato a Bologna, prendere in prestito una bicicletta per andare al lavoro intanto che non arriva ad averne una sua?

Sganciarsi dalla logica del profitto e dalla quantificazione, bei discorsi ma poco realistici? Non credo. L’umanità è vissuta per millenni prendendo decisioni politiche in base a valori diversi dalla logica del profitto e della crescita economica e potrebbe tornare a farlo. Bisogna forse rinunciare alla crescita? Certamente no. Perché la crescita non è solo economica. Si può abbracciare un nuovo orizzonte di senso, come quello della “crescita qualitativa” proposto da Fritjof Capra e Hazel Henderson in Crescita quali. Per una economia ecologicamente sostenibile e socialmente equa (Aboca, 2020). Si può guardare a una crescita in cui compaiano anche la fiducia, i sorrisi e le relazioni umane. Questi discorsi sono nuovi ma non nuovissimi, infatti già nel 2007 al Parlamento Europeo si parlava di andare “Beyond Gdp” cioè “Oltre il Pil”, distinguendo fra crescita virtuosa e crescita distruttiva. Si tratta di cominciare a muoversi e a ragionare sempre di più in logiche antiche o nuovissime che ci rendano più umani e meno numeri.

Hai in cantina un bellissimo frullatore che non usi?

Hai sempre desiderato provare un sacco da pugilato?

Ti serve il portapacchi, ma solo per un week-end?

Passa da Leila.


2 pensieri riguardo “Le biblioteche degli oggetti e la crescita qualitativa

  1. Ringrazio Barbara (e Cantiere Bo) per averci informato di questa straordinaria iniziativa, che mi era finora sfuggita. Complimenti a Tutt* i Leilisti anche per i laboratori di manutenzione. Vorrei sottolineare il valore della ridefinizione che Barbara ci ha dato del concetto di ‘crescita’. A presto, Simonetta

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