In ballo non c’è il primato a sinistra, una conta tra chi ha in mente le migliori politiche per ridurre la forbice tra ricchi e poveri e portare giustizia sociale. Magari. Sul piatto c’è la sfida tra chi questi elementi li difende in un periodo infame e con un debito spaventoso e una destra che vuole la flat tax, non canta Bella ciao, umilia immigrati e diversi. Abbiamo dubbi su che parte stare senza avvertire cattivi odori? Davvero a sinistra si può dire che il problema di questo Paese è il Pd?
di Giampiero Moscato, giornalista
Cominciamo dai problemi. Perché non si dica che sono militante e che non riconosco i guai. Del Pd non mi piacciono la derive para-movimentiste, il peso crescente delle correnti, la scelta suicida di sostenere la fine del finanziamento pubblico ai partiti e il taglio dei parlamentari senza riforma elettorale, le scivolate liberiste culminate nel Jobs Act, la nascita e l’apoteosi del “Renzismo” (che aveva ragioni profonde – il referendum, per esempio – ma in nuce covava la distruzione del suo stesso partito), le dimissioni sguaiate di Zingaretti, l’idea che in qualche modo si privilegino gli amici piuttosto che il merito, in troppi casi un Atlantismo fin troppo fedele. E potrei continuare.
Degli alleati – potenziali o reali, da Casini e Calenda/Renzi alla Bonino e ai Verdi, da Bonelli e Fratoianni alle Coalizioni Civiche, alle sinistre dure e pure financo al M5s – potrei elencare giudizi altrettanto severi. Non spreco righe perché, rispetto al Pd, hanno un problema in più: l’irrilevanza. La quale, con questa legge elettorale immonda, ha un peso determinante nel giudizio. Fosse una sfida tra il Pd e loro sarebbe utile e bello farla. Se fossero capaci di contendere alla destra la vittoria elettorale, non esiterei a votare per chi, tra loro, avesse maggiori chance. Non le hanno proprio. Peccato. L’unica forza di centro-sinistra (sì, che noia, lo so: per molti il Pd con la sinistra non ha parentele) che può battere la triade Meloni-Salvini-Berlusconi è la mini coalizione guidata dal Partito democratico. Basterebbe questo fatto per votarla, fosse pure turandosi il naso.
In lizza però non c’è, purtroppo, il primato a sinistra. Non si sta decidendo quale sia la politica migliore per portare giustizia sociale, ridurre la forbice tra ricchi e poveri, distribuire equamente diritti economici e sociali, difendere l’ambiente, pensare al futuro della gioventù e alla serenità degli anziani. Sul piatto (che piange) c’è la sfida tra chi questi elementi prova a difenderli in uno dei periodi peggiori della storia recente e chi invece vuole la flat tax che arricchirebbe i ricchi, respinge gli immigrati come appestati e non come gente che scappa da una casa in fiamme, condanna le persone che non si riconoscono in un sistema binario eterosessuale maschio/femmina e ogni diversità, minaccia conquiste faticose come l’autodeterminazione delle donne, in primis nella scelta della maternità. Davvero il problema, come si legge ovunque, è il Pd in questo Paese?
Non c’è la guerra civile, per fortuna, e non è demonizzando gli avversari che si vince. Ma tra noi che abbiamo respirato democrazia, libertà e giustizia e chi si rifiuta di cantare Bella ciao non credo sia possibile non vedere da che parte stare. Se vincesse Calenda, se si imponesse De Magistris, se Conte riuscisse a far dimenticare i suoi decreti sicurezza sarebbe rassicurante. Non sembra però che esista una sola possibilità.
Certo, Letta ha fatto errori strategici e di comunicazione. Ma il partito che guida appare come l’unico in grado di contendere a FdI il ruolo di prima forza, quantomeno di riuscire a non perdere male. I conti facciamoli con la Meloni e con le sue vene gonfie mentre grida cose che dovrebbero far vedere come salvifica l’alleanza con Pier Ferdinando Casini: contro i nazisti non ci si turava il naso ad avere democristiani e liberali alleati nella Resistenza. Nessuno vuole paragonare la Meloni alla Wehrmacht, sia chiaro, ma avere un uomo di centrodestra schierato a sinistra contro di lei è un bel segnale.
Ma anche della retorica anti Pd, comprensibile quando a farla sono gli avversari naturali, non si capisce il senso quando il Paese rischia di finire in mani sbagliate. Le stesse che ci stavano regalando (Governo Berlusconi) il default e lo spread a 600 punti, cui seguirono manovre salvavita disperate che ora costano il marchio di infamia, non un grazie, a chi le attuò. Certo, come ha detto Stefano Bonaccini a Silvia Bignami di “Repubblica” il 16 settembre, serve una scossa attorno a proposte semplici: redditi più alti a chi lavora anziché una flat tax a vantaggio dei ricchi e un salario minimo a chi non è coperto da un contratto collettivo, una forte spinta alla transizione ecologica ed energetica, investimenti sugli asili nido e sulla formazione, non solo in campo medico.
Ma mettiamo anche in conto, per votare a narici libere, che se esiste ancora un po’ di welfare in questa nazione, se nonostante il debito pubblico spaventoso non abbiamo subito la cura stile Grecia, alla quale Berlusconi-Salvini-Meloni&co stavano per consegnarci, se in regioni come la nostra si possono siglare accordi geniali come il Patto per il lavoro e il clima (qui da noi, in un’alleanza Pd, civici, Iv, Azione, Si e Verdi), se si è dimostrato che si riesce a fare qualcosa di sinistra anche in periodi di carestia (nei quali è difficile fare politiche espansive. Ovunque proliferano le destre, anche nella evolutissima Scandinavia, quando le vacche sono magre), allora bene, non ci sono ragioni per rassegnarsi alla sconfitta.
Per evitarla, c’è un solo voto utile, a questo punto. I conti, nel centro-sinistra, facciamoli dopo, qualunque cosa succeda il 25 settembre. Meglio se non c’è la fiamma al potere, no?
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Così è, anche se non vi dovesse parere
Tutte le volte che leggo le analisi di Giampero di Pier e di Aldo , tutte le volte penso sempre che é esattamente ciò che penso anche io .
Senza averne la capacità di saperlo esprimere.
Bravo assai !!! Una esposizione chiara, così limpida che dovrebbe essere in tutte le menti..invece non è così e si lotta per ritornare indietro.