Next generation Pd

Come può chi ha vissuto col posto fisso, il boom immobiliare e le pensioni a 50 anni rappresentare una generazione forgiata sul precariato, sull’impossibilità di acquistare una casa e di vivere una vecchiaia sicura? È giusto che queste sfide siano affrontate da chi le vive e ne paga il prezzo. Il partito lasci il timone ai Millennials, che hanno il diritto di ricostruire il Paese e il proprio futuro così come fu fatto dalla gioventù che si prese il Paese sulle spalle nel Dopoguerra

di Simone Jacca, referente Transizione digitale e innovazione nella Segreteria Pd Bologna


Le elezioni del 25 settembre hanno ancora una volta mostrato un’emorragia di voti e di consenso per il Partito Democratico. Qualsiasi discussione e analisi che riguardi la campagna elettorale, le alleanze, la comunicazione sarebbe necessariamente miope, perché guarderebbe all’ultimo miglio di quello che è un sano e serio percorso politico: ovvero come trasformare la proposta in consenso.

Il problema più grosso, quello da cui bisogna evidentemente partire, è la qualità della proposta. E l’incapacità di elaborarne una che sia in grado di mettere in discussione e superare l’attuale modello capitalistico di produzione e distribuzione delle risorse, che negli ultimi cinquant’anni ha generato miseria, povertà, iniquità, discriminazioni e ha letteralmente devastato e piegato il nostro habitat.

Questa incapacità ha tante concause: innanzitutto la mancanza di un luogo dove discutere ed elaborare questa proposta. Il Pd è pieno di organi, funzioni, dipartimenti, segreterie e direzioni, ma non possiede un luogo, un laboratorio, un tavolo dedicato esclusivamente al pensiero e all’elaborazione. E la soluzione non può essere un evento tematico di tre ore dove diversi esperti portano competenze e idee per poi fare una sintesi e mandarla a Roma. Perché con questa metodologia, nel migliore dei casi, si riesce a carpire lo stato dell’arte su quel tema. Ma non si può abbattere una barriera culturale, non si può ideare qualcosa di realmente innovativo. E soprattutto non si riesce a costruire una visione che sia trasversale, a 360 gradi, che sia in grado di unire i principali problemi attuali: la crisi ecologica, la disoccupazione giovanile, la sperequazione sociale. Che possono essere gestiti e affrontati solo con una nuova idea di mondo, una vera e propria rivoluzione culturale. E il secondo motivo per cui non si riesce a elaborare una nuova proposta di qualità è ancora più semplice e banale: la maggior parte delle persone che prova a dare queste risposte non vive o non ha vissuto quei problemi.

Il Partito Democratico non ha ancora compiuto 15 anni, ma ha già avuto otto segretari. Tutti nati prima del 1975. Tutti uomini. È stato pensato, costruito, fondato, governato e molte volte affondato da un gruppo di persone prevalentemente nate cinquanta, sessanta o settant’anni fa. Quasi tutti uomini. Che hanno preteso e tutt’ora pretendono di affrontare e risolvere i problemi e le criticità di questo secolo con gli strumenti e le chiavi interpretative del secolo scorso. Col risultato più scontato: l’inevitabile scollatura con un intero pezzo di società, quello che ha sulle spalle il presente e il futuro del Paese.

Il Partito Democratico potrà sopravvivere solo se avrà la forza e l’intelligenza di delegare a una nuova classe dirigente l’elaborazione di una nuova proposta politica. Più competente, più giovane, più credibile, più coraggiosa.

Non è un tema di rottamazione. Non è un discorso di ringiovanimento. È un tema prettamente politico. Di rappresentanza.

Come può una generazione nata e cresciuta negli anni del boom economico, della piena occupazione e del benessere riuscire a rappresentare una generazione nata e cresciuta con la crisi economica e finanziaria, l’aumento della disoccupazione, la catastrofe ambientale ed ecologica, l’impennata del debito pubblico, la crisi del welfare e dei diritti, una pandemia e ora una nuova e tragica guerra?

Come può una generazione cresciuta con il posto fisso, il boom immobiliare e le pensioni a cinquant’anni riuscire a rappresentare una generazione forgiata sul precariato, sull’impossibilità di acquistare una casa e sul dubbio che si possa anche riuscire a raggiungere una pensione?

Come può una generazione che ha costruito l’idea di benessere fondato sul consumo poter rappresentare una generazione che deve affrontare le conseguenze ecologiche di quel consumismo e cercare di limitarne i danni con rinunce e privazioni di ogni genere? Come può una generazione cresciuta prima dell’avvento di Internet poter cogliere l’immensa e straordinaria opportunità che offrono le nanotecnologie, l’intelligenza artificiale, i big data o la blockchain?

È giusto e necessario che queste sfide siano colte e affrontate da chi le sta vivendo e ne sta pagando il prezzo. È giusto e necessario che il partito lasci il timone a quella generazione, i cosiddetti Millennials, che ha il diritto di ricostruire il Paese e il proprio futuro, così come fu fatto dai ragazzi e dalle ragazze che si presero il Paese sulle spalle nel Dopoguerra.

Per questo è di vitale importanza che il Partito trovi nel prossimo Congresso la volontà e la capacità di affidarsi a una nuova classe dirigente fatta di ragazze e ragazzi in grado di auto-rappresentarsi ed elaborare una nuova proposta politica che miri a gestire e risolvere i problemi e le ingiustizie che riguardano loro stessi e le future generazioni.

Qualunque altra strada, che preveda una qualche ricostruzione, rinascita o rifondazione, pensata e attuata dalle stesse persone, della stessa generazione, sarà una strada destinata a fallire.

Ancora una volta. Probabilmente l’ultima.

In copertina: il corteo che il 29 luglio ha chiuso il Climate Social Camp di Torino, l’assemblea di cinque giorni dei movimenti italiani per il clima, costruita intorno al meeting europeo di Fridays for Future. Photo credits: Ansa.it


5 pensieri riguardo “Next generation Pd

  1. Articolo molto stimolante; mi permetto di sottolineare di non sottovalutare la conoscenza della Storia,fondamentale anche per decifrare il presente e guardare al futuro

  2. Condivido in pieno. Il problema è però come si scelgono i giovani a cui affidare il partito, perché il rischio è di ritrovarci con dei giovani che non rappresentano nulla e riproducono schemi e modalità vecchie. Il rinnovamento dovrebbe iniziare dalla base, da una seria riflessione collettiva di che cosa debba essere oggi un partito di sinistra

  3. Aldo, Roberto certo che bisogna farla con criterio.
    La conoscenza della storia ma in generale le competenze devono essere un criterio.
    Nella proposta però è già in qualche modo incluso questo aspetto, quando dico che serve un luogo nel partito dove elaborare una nuova proposta.
    Quel luogo diventerà anche una fucìna per una nuova classe dirigente, non più selezionata in base a correnti, conoscenze, etc, ma in base a quanto incidi nella posposta, quante e quali idee proponi e quindi in base a cultura, intelligenza, coraggio, competenza.

  4. Concordo in pieno con l’articolo e con le proposte di Bacchiocchi e di Bin: spazio ai giovani, sempre portatori di idee “fresche”, senza defenestrare i “vecchi” (salvo che se lo meritino), la cui esperienza e conoscenza del passato è sempre la preziosa base che i giovani useranno per migliorare l’esistente o smontarlo e rifarlo se l’esistente non va più bene. Vale nel lavoro (io ebbi buoni maestri e quando anni dopo mi accorsi di essere diventato a mia volta il “vecchio saggio” mi lasciai depredare dai giovani, contento di vedere che la mia esperienza veniva utilizzata e riformata per costruire il futuro) e vale anche in politica.

  5. Penso -non uso mezzi termini- che sia ora che questa litania sull’esclusione dei giovani abbia fine, per il semplice motivo che non esiste (o meglio non esiste più da tempo) in Italia alcuna esclusione dei giovani.
    Matteo Renzi è diventato Segretario del PD a 38 anni e Presidente del Consiglio a 39 anni. Luigi Di Maio è diventato Capo Politico del M5S a 32 anni e Ministro degli Esteri a 33 anni. Matteo Salvini è diventato Segretario della Lega a 40 anni e Ministro dell’Interno e Vicepresidente del Consiglio a 45 anni. Giorgia Meloni è diventata Presidente di Fratelli d’Italia a 37 anni, Ministro per la gioventù a 31 anni e si accinge a diventare Presidente del Consiglio a 46 anni.
    Questo è il gotha politico degli ultimi anni. Non si tratta forse di giovani? Dove bisogna pescare per incarichi di quel tipo, alla scuola materna?
    Il tema che si pone, volendo dire le cose come stanno, è semmai l’esatto opposto, ovvero quello del fallimento clamoroso di questa classe dirigente di giovani. Mediamente di scarso spessore culturale. Poco lungimiranti. Avventati ed egotici, boriosi e presuntuosi.
    Così stanno le cose. Altro che esclusione dei giovani. E faccio presente, ove qualcuno se lo fosse scordato, che l’Italia è un Paese di vecchi spesso emarginati e tagliati fuori da tutto e, loro sì, non rappresentati da nessuno.
    La classe dirigente va scelta tra i capaci. Tra coloro che paiono essere all’altezza. Indipendentemente dall’età e, ovviamente, anche dal genere.

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