«Ha vinto una destra conservatrice, il Duce non torna»

«Meloni è figlia del rinnovamento partito con Fini che prese un cammino di non ritorno con la frase ‘fascismo male assoluto’. È cresciuta nella sezione di Colle Oppio, molto attenta a valori moderni come ecologia e ruolo delle donne e senza alcun torcicollo. È presidente dei Conservatori nella Ue, mai stata antisistema. FdI è fatta di gente come Urso: liberale, atlantista, filoisraeliano. La futura presidente del Consiglio poi è stata chiara. Non starà con il regime di Putin, starà con Kiev»

di Enzo Raisi, imprenditore, già parlamentare e esponente di “Futuro e libertà”


La vittoria di Giorgia Meloni ha riacceso i timori della rinascita del fascismo. La sinistra agita questo spettro: al di là della strumentalizzazione politica – un dopoguerra che non finisce mai – lo fa per una lettura storica superficiale. L’Msi/Dn fu indubbiamente partito neofascista, fondato da reduci Rsi per ridare dignità politica a coloro che combatterono dalla parte sbagliata e per questo reietti. Mai pensarono di ricostituire il regime. Anzi, accettarono la Nato e l’idea occidentale di democrazia. Certamente non negarono il loro passato. Però già nel Msi la componente prioritaria del meridione, non avendo vissuto la guerra civile, era più conservatrice che nostalgica. Poi arrivarono le nuove generazioni, quelli come me nati negli anni 50 e 60 in una democrazia in cui la libertà diveniva parte stessa della cultura politica, mai messa in discussione.

La vera cesura avviene nel congresso Msi del 1987 a Sorrento, quando lo storico segretario, Giorgio Almirante, designa come successore Gianfranco Fini, giovane moderato nato nel ‘52, non coinvolto col passato fascista. Sarà Fini a portare la destra in un cammino di non ritorno con la frase cruciale pronunciata a Tel Aviv: «Fascismo male assoluto». Questo percorso passa dal congresso di Fiuggi, la chiusura del Msi e la nascita di An. Vera Bad Godesberg della destra: il rifiuto di ogni modello autoritario e la trasformazione in forza conservatrice. Fini andò oltre fondando Futuro e Libertà, primo esempio di destra laica, europeista, attenta ai diritti. Ne fui protagonista con lui, orgogliosamente, anche se purtroppo non fu capita dall’elettorato.

Meloni è figlia della stagione del cambiamento di Fini. Fu lui a volerla presidente dei giovani An e, quando nel 2001 fu eletta con me, la indicò vice presidente della Camera e nel 2008 ministro dei giovani. Nell’esecutivo Pdl del 29 luglio 2010 in cui Berlusconi ottenne l’espulsione di Fini, Meloni fu una delle poche voci a difendere Gianfranco, purtroppo senza successo. Vero è che Meloni rimase con Berlusconi per poi fondare, nel 2013, FdI con La Russa e Rampelli. Ma che sia figlia politica di Fini non c’è dubbio. Cresce nella sezione missina romana di Colle Oppio, realtà giovanile molto attenta a temi moderni come ecologia e il ruolo delle donne: tra quei militanti non ho mai visto nessun “torcicollo”, men che meno in Giorgia.

Veniamo al tasto più dolente, i rapporti internazionali. Nella Ue è presidente del gruppo dei Conservatori, molto forte prima della Brexit. A differenza di altri movimenti populisti non ha mai fatto parte di gruppi antisistema. In Spagna ha legato molto con Abascal, leader di Vox. Però anche qui il mainstream ha dato un’idea errata di Vox. Che non è di estrema destra, tanto meno neofranchista. Nasce da fuoriusciti del Partito Popolare in forte dissenso con l’allora presidente Mariano Rajoy sul rapporto da tenere con gli indipendentisti baschi e catalani. Successivamente si è dato un programma attento a un elettorato cattolico che ha radici importanti nella Spagna rurale. Prima della guerra civile il primo partito era la Ceda, una Dc di destra il cui capo era Gil Robles y Quiñones. Ricordo che l’Opus Dei nasce in Spagna e qui è fortissima. Vox è una Dc attenta ai valori cattolici tradizionali, contro l’aborto e a favore della famiglia tradizionale. È molto lontana da un laico come me, ma definirla estremista e nostalgica è ridicolo.

Meloni e FdI rappresentano una destra conservatrice che tenta di dare risposte, da me non sempre condivise, rispetto alla globalizzazione che in alcuni aspetti ha fallito, almeno rispetto alle prospettive di democratizzazione di paesi autoritari: il caso Russia è il più evidente. Da libertario di destra non concordo su certe battaglie come quella sui diritti delle minoranze e il modello di famiglia. Ma definire Meloni un pericolo fascista è una forzatura per strumentalizzazione politica o ignoranza. 

Concludo parlando dei compagni di viaggio della Meloni, in particolare di Adolfo Urso. Lui, Mennitti e io eravamo i leader di “Proposta Italia”, corrente liberale e modernizzatrice del Msi. Urso fu chiamato da Tatarella, lo spin doctor di Gianfranco Fini, a costruire An, Mennitti venne chiamato da Berlusconi a fondare Fi. Urso chiuse nel 2013 con me in Futuro e Libertà per riprendere la politica in FdI di cui oggi è una delle personalità. Liberale, atlantista, filoisraeliano, nessuno può pensare che possa avere rigurgiti fascisti. Nemmeno FdI.

Il vero problema della Meloni non saranno le tentazioni fasciste ma la capacità di dare soluzioni a un Paese allo sbando che rinvia da troppo tempo riforme indispensabili. E quella di relazionarsi bene con l’Europa. Ci vuole più Europa e meno nazionalismo. In questo io e Giorgia abbiamo idee diverse ma entrambi non siamo nostalgici di un passato che speriamo non torni più.

Ha vinto una destra conservatrice. Diversa sotto molti aspetti dalla mia destra liberale e libertaria. Ma non vedo all’orizzonte i fantasmi del fascismo. Che magari vanno ricercati, a destra come a sinistra, tra chi con posizioni falso-pacifiste occhieggia a un regime come quello di Mosca. Anche su questo Meloni è stata molto chiara: l’Italia che governerà sarà a fianco di Kiev, non di Mosca.


2 pensieri riguardo “«Ha vinto una destra conservatrice, il Duce non torna»

  1. Ma intanto va a sostenere Vox in Spagna. Poco coerente con quanto si legge nell’articolo

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