È giustificabile l’assenza di programmazione urbanistico-commerciale dell’amministrazione? L’esplosione di street food e airbnb non sembra essere contrastata. Un baretto di sei mq richiama centinaia di giovani schiamazzanti, un formaggiere non ha ritorni economici paragonabili, non regge. Quali regole intende porre il Comune? Molte città europee si sono attrezzate contro il dilagare degli affitti brevi. I proprietari di casa e i commercianti votano, gli studenti fuori sede no: ma questo ancora non spiega tutto
di Roberto Bin, costituzionalista
L’articolo di Massimiliano Cordeddu, che condivido in pieno, mi persuade a scrivere qualche riga molto critica sulla (apparente?) assenza dell’amministrazione nei confronti della trasformazione “turistica” che subisce la città.
L’invasione di un turismo di massa, diretto da qualche app che conduce stuoli di turisti a mettersi in fila per visitare la finestrella sul canale di via Piella (la “piccola Venezia” non si vergogna a definirla uno di questi siti, che svela i “segreti di Bologna”), ad accalcarsi per individuare le frecce infisse (e regolarmente rimosse, pulite e ricollocate) nel portico di Palazzo Isolani, persino i fantastici murales del Ghetto (mi è stata chiesta qualche indicazione a proposito da una ragazza incontrata per strada, telefonino e app dotata: non ho saputo risponderle), a far la fila per comprare i prodotti tipici nei negozi “migliori di Bologna”: è un fenomeno vistoso che crea ricchezza. Ricchezza di chi?
Il dilagare dei “taglieri” (e dei loro quasi monopolisti nelle zone più centrali) e degli airbnb non sembra poter essere contrastato, e si somma al resto della consunzione del tessuto sociale e commerciale urbano: mi riferisco alle botteghe di verdure gestite da pakistani e bengalesi, dagli “euro 1” gestiti dai cinesi (la cui penetrazione nel tessuto commerciale della città ha dimensioni che non sono note) e agli altri fenomeni ben visibili. Intere vie sono state trasformate da questo tipo di attività economica, via San Vitale tra tutte.
Non ho nulla in contrario all’integrazione di comunità straniere nella città, tutt’altro. Quello che mi sembra deprecabile è che tutto ciò si svolga senza un governo urbanistico, senza scelte politico-amministrative. Siamo in mano al mercato. Ma il mercato non è uno spazio senza regole, è proprio il contrario. Nessun mercato esiste se non è regolato da tante norme che fissano standard di protezione degli utenti e garantiscono la regolarità della stessa concorrenza.
Tutto ciò a Bologna sembra mancare. Non appare esistere una seria programmazione urbanistico-commerciale: che non significa affatto voler bloccare l’iniziativa dei privati, ma tutelare il tessuto sociale che ospita i cittadini. La chiusura di una latteria può significare la perdita di un riferimento per chi vive in quelle vie: e certo la “valorizzazione” di esse grazie all’apertura di qualche localino che vende spritz e street food non li ripaga, anzi. Sei metri quadrati di esercizio che attrae centinaia di persone che stazionano fuori dal locale a ridere e schiamazzare (nelle città universitarie tedesche una simile cosa non sarebbe tollerata: gli avventori stanno dentro al locale, il che significa che una tabaccheria non potrebbe mai trasformarsi in una birreria all’aperto!) valgono una cifra che il formaggiere non può sostenere.
Lo sviluppo sociale del centro cittadino – il bellissimo borgo medievale – è diretto dalla regola della domanda e dell’offerta, senza una vera intermediazione di chi dovrebbe avere in cura gli interessi della comunità. La domanda è gestita da organizzazioni ben fornite di danaro (e non parlo della sua provenienza!), l’offerta è nelle mani dei proprietari dei muri: potenti (e un po’ oscuri) enti che hanno il profitto come mantra (anche se i loro statuti professano alti ideali) o piccoli proprietari a cui non si può chiedere di resistere ai soldi. Tutto ciò senza un serio intervento pubblico che preservi anche l’aspetto commerciale delle vie del centro.
Il mercato è fatto di tante regole. Quali regole intende porre il Comune? Molte città europee si sono attrezzate per porre rimedio al dilagare degli airbnb, limitando con precisi criteri la loro diffusione. In Italia si sono proposte leggi a livello nazionale. Ma il Comune e la Regione hanno già i poteri regolatori necessari e la Regione ha il potere di fare leggi a proposito. Se non li usano è perché non hanno interesse a farlo. I proprietari di casa e i commercianti votano, gli studenti fuori sede no: ma questo ancora non spiega tutto.
Photo credits: Caroline Roose
Centrato in pieno. Il Dio danaro muove tutto e non viene contrastato. D’altronde da sempre alla domanda “chi governa a Bologna” la risposta è una sola “i butegher”.
Credo che il d.lgs. n. 114/1998 (“Decreto Bersani”) abbia di fatto esautorato i Comuni in termini di autorizzazioni al commercio, disegno di relativi piani, insomma di attuare effettive politiche urbanistiche per il commercio. Doveva essere una legge di liberalizzazione, forse contro la corruzione. Non ha inciso sulle licenze dei taxi, né sulla concorrenza per le cincessioni demaniali (spiagge). A me pare Far West
In attesa che la giunta prenda iniziative, il paziente cittadino bolognese intrappolato dai dehors studia i détours.
Concordo con quanto scritto. Sottolineo però che la chiusura dei piccoli negozi riguarda anche la periferia. Ormai sono pochissime le latterie, panetterie, mercerie. Questi negozi non solo erano un punto di riferimento per una popolazione che invecchia sia come servizio di utilità sia come punto di aggregazione ma anche come controllo del territorio. Ora pensano solo a costruire supermercati invece di incentivare i negozi di quartiere. Io abito nel quartiere Savena e purtroppo anche qui i negozietti chiudono o faticano a sopravvivere