Cinquantatré anni fa, agli inizi di novembre, grazie alla convergenza tra l’operaia e sindacalista Adriana Lodi e l’imprenditore Aldo Patini, sorse alla Bolognina il primo nido d’infanzia del Paese. Una storia fatta di persone, famiglie, bambini ma soprattutto donne. E di una grande politica alla “bolognese” di cui ci sarebbe bisogno anche oggi
di Lorenzo Berselli, consulente del lavoro
Quando penso all’implementazione dei servizi scolastici mi viene sempre in mente la storia di un nido ancora esistente e funzionante, il primo d’Italia, nato a Bologna nel 1969, proprio all’inizio di novembre. È una storia fatta di persone, famiglie, bambini ma soprattutto donne, e di una grande politica alla “bolognese”.
L’idea fu di Adriana Lodi, operaia di fabbrica in un’azienda che produceva saponi, poi sindacalista, successivamente eletta tra le file del Pci, affascinata dal modello nordeuropeo. Tornata da un viaggio dedicato a capire come funzionavano i servizi scolastici tra Copenaghen e Stoccolma, incontrò un industriale che si mise a disposizione per supportare il progetto di un luogo destinato ai bambini mentre i genitori erano a lavoro.
Veniva così offerta per la prima volta alle madri e alle famiglie in generale la possibilità di continuare a lavorare fuori casa, creando un luogo sicuro e accogliente, profilato da un punto di vista pedagogico, dove i bambini di un’età compresa tra 0 e 3 anni potessero vivere fino al ritorno dei genitori a fine giornata. La scuola, costruita su un terreno comunale grazie ai finanziamenti dell’industriale Aldo Patini e intitolata ai suoi genitori, vissuti nel quartiere operaio della Bolognina, diventò una realtà da diffondere sul territorio nazionale. Infatti nel 1971 venne approvata la Legge che ne istitutiva la diffusione su tutto il Paese.
Da allora a oggi il mondo è indubbiamente cambiato. Per quanto i servizi pubblici cerchino di fare quello che possono con i mezzi a disposizione, costantemente minati nonostante siano un bene prezioso per tutti, fanno fatica a volte a sostenere persino i livelli essenziali, ancora più provati dal periodo che stiamo vivendo. E viene da chiedersi contestualmente se le politiche per la famiglia, il welfare state, la parità di genere e l’eguaglianza tutta, possano continuare a dare garanzia, tenere il passo della modernità, delle esigenze degli individui e dei nuclei familiari.
Le scuole chiuse d’estate per mesi, le vacanze invernali, giovani famiglie che si scapicollano per trovare campi estivi per lo più costosi e arrangiamenti precari di vario genere. Regimi di produttività aziendali che devono correre su standard globalizzati per rimanere sul mercato, l’inflazione, stipendi che faticano a crescere, servizi pubblici che non riescono a sostenere la domanda dei cittadini, costi fissi degli italiani in costante aumento, con sempre più marcati dislivelli reddituali e dei servizi offerti tra una zona e l’altra.
Molto spesso uno dei genitori deve sacrificare l’impegno e la possibile volontà di affrontare appieno il lavoro, per poter sopperire alle mancanze di servizi e di un welfare state adeguato. Dove non ci sono i nonni o una struttura familiare allargata e solida, tutto questo rappresenta un annoso problema di gestione privata, che si riverbera con l’effetto di un decremento demografico che porta con sé un sacco di criticità, tra cui spicca quella previdenziale.
Per questo mi chiedo se, rispetto a questi temi, il nostro territorio sarà in grado di far emergere una grande risposta, alla “bolognese” appunto, come quella che Adriana Lodi e Aldo Patini diedero nel 1969, proprio in questi giorni.
Photo credits: Comune di Bologna
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