Il sindaco del pane e i sindaci dell’energia

Di fronte a sfide epocali, ambientali e sociali, che richiedono cambiamenti veri si assiste a una triste rassegnazione e subalternità a un mercato non regolato, preda della speculazione internazionale. Servono vere riforme: non basta un liberismo compassionevole

di Paolo Galletti, portavoce Europa Verde-Verdi Emilia-Romagna


In un articolo su Italia libera, scritto prima dell’invasione russa in Ucraina (qui) paragonavo il caro energia di oggi al rincaro del pane nell’800 e nei primi decenni del ‘900.

A Bologna il primo sindaco socialista Francesco Zanardi (1915) aprì un forno comunale del pane (oggi sede della galleria di arte moderna) e una serie di negozi per vendere il pane a prezzi calmierati. Non solo: fece acquistare al comune due navi per comprare carbone in Inghilterra e grano in Argentina. Ecco il tanto disprezzato riformismo dell’Emilia-Romagna. 

Oggi il caro energia dovuto alla speculazione di stati e multinazionali e ai meccanismi della finanza, oltre che al colpevole e voluto ritardo (dal 2010 a oggi) nel dotare il nostro Paese di energie rinnovabili, mette in ginocchio famiglie, associazioni, enti locali, Ausl e imprese. Ma non tutte le imprese. Quelle che vendono energia realizzano infatti extraprofitti stellari.

Di fronte al sostanziale immobilismo di una Europa disgregata in rinascenti nazionalismi e a un governo italiano subalterno alle politiche fossili di Eni e Usa, si invocano misure a sostegno di famiglie e imprese. Utili certamente ma insufficienti. E soprattutto incapaci di affrontare davvero il problema, succubi di un mercato non regolato da pubblico interesse ma solo da speculazione.

Ma cosa potrebbero e dovrebbero fare sindaci e amministratori regionali davvero riformisti di fronte al caro energia? Cosa sarebbe oggi un forno pubblico del pane?

In Emilia-Romagna abbiamo aziende energetiche a controllo pubblico come Hera e Iren. Aziende che peraltro dovrebbero diventare propulsori di energie rinnovabili e non solo venditori. Ecco i forni del pane. Invece di spartirsi i dividendi occorre riportare queste aziende al compito pubblico per il quale sono nate: offrire un servizio di qualità a prezzi equi. Intervenire a monte, prima del disastro sociale ed economico, e non limitarsi a cercare di tamponare a valle i problemi sociali ed economici conseguenti. Quindi prezzo politico per l’energia e non prezzo speculativo della borsa di Amsterdam. Questo è riformismo.

Ma sento già  l’obiezione: oggi sono quotate in borsa e forse non si può fare. Nella patria del diritto si troverà il modo di smontare la gabbia giuridica nella quale si è rinchiuso il pubblico interesse. O ci rassegniamo a un liberismo senza freni?

Persino i tre sindacati confederali, alla recente manifestazione in piazza Roosvelt a Bologna (qui) – conclusasi con l’impegno del Comune a destinare i 40 milioni di utili derivanti dalle partecipate per garantire i servizi sterilizzando i rincari di energia e materie prime, ndr – hanno sollevato il problema di Hera e Iren.

Lo stesso vale per Eni ed Enel a controllo pubblico. Ma qui si dimostra che non esiste una destra sociale se non nei comizi. La Spagna ha stabilito da tempo un prezzo dell’energia. Nulla impedirebbe di farlo anche all’Italia.

Ci sarebbe poi Tper, a controllo pubblico, che si occupa di mobilità e trasporti. Anche qui una politica riformista vorrebbe un incremento massiccio del trasporto passeggeri e merci per ridurre inquinamento e riscaldamento globale. Investimenti in materiale rotabile e in strutture e un prezzo politico per chi passa al trasporto pubblico, come  in altri paesi europei. Ecco il riformismo ed ecco cosa manca: il coraggio di fare vere riforme.

Nazionalizzazione ferrovie ed energia elettrica, sanità pubblica, statuto lavoratori, per non parlare di industrie di stato. Sono solo alcuni esempi passati del riformismo italiano di matrice socialista e cattolica. Oggi invece dove sta il riformismo? Di fronte a sfide epocali, ambientali e sociali, che richiedono cambiamenti veri si assiste a una triste rassegnazione e subalternità a un mercato non regolato, preda della speculazione internazionale.

Questo non è sinistra, non è progressismo. Si abbandona l’economia sociale di mercato, fondamento di un’idea di Europa ormai svanita. Non meravigliamoci allora che vinca l’astensione, che vinca la destra,  che si riaffacci un massimalismo sterile.

Photo credits: Ansa.it


2 pensieri riguardo “Il sindaco del pane e i sindaci dell’energia

  1. Sono andata a ripassare le vicende dei Verdi. Avevo un ricordo vago di promesse, modesta ma interessante crescita, poi zuffe di posizionamento, implosione. Forse wikipedia non è la fonte migliore, ma i dati coincidono.
    Il Pd, unico ad accogliervi vi è sembrato troppo tiepido. Glielo rimproverate ancora adesso. Mi chiedo perché non riusciate ad aggregare le giovani energie di Fff ed Extintion, che pure sono tante e agguerrite. Proporre obiettivi concreti invece che fare predicozzi ad altri?

  2. Vede se abbiamo la raccolta differenziata sei rifiuti, i parchi naturali,l’agricoltura biologica,le.pistw ciclabili, le energie rinnovabili,la green economy….e tanto altro ringrazi i verdi,brutti sporchi e cattivi.
    Che non fanno predicazione ma proposte politiche concrete e attuabili.
    Come quella di riportare le aziende pubbliche al loro fine originario di servizio e non solo di produttori di utili.

Rispondi