In mostra fino all’8 gennaio, le opere di Porpora Marcasciano non sono soltanto la testimonianza artistica di un’epoca, quella tra gli anni ’70 e ’80, che ha segnato per sempre la lotta collettiva contro l’eteropatriarcato ma l’indicazione di un futuro possibile e contaminato da corpi androgini, dove l’abbattimento della norma dominante e degli schemi pre-impostati trionfa
di Sara Papini, operatrice della comunicazione
Dallo scorso 11 novembre e fino all’8 gennaio, all’interno della Project Room del MAMbo, è stata allestita una nuova mostra che ospita una selezione di disegni e collage inediti, realizzati da Porpora Marcasciano.
L’esposizione, creata con la collaborazione del MIT (movimento identità transessuale) e a cura di Michele Bertolino, è una vera e propria immersione storica all’interno del movimento omosessuale e transessuale degli anni ’70 e ‘80 in Italia.
I disegni di Porpora, a tratti struggenti e a tratti psichedelici, ci costringono a confrontarci con noi stess*. È il corpo a fare da protagonista, pennellato nelle sue diverse forme. Parliamo di corpi non conformi, corpi androgini, robotici: corpi reali. Il groviglio nel quale ci perdiamo ci mostra «corpi alieni, mani e labbra, seni, vagine, falli e tubi che si fondono l’uno nell’altro».
Un’attenzione femminista e decisamente queer è data alle soggettività che animano il mondo raccontato da Porpora. Quello che riusciamo a immaginarci guardando queste opere, come sottolineerebbe il gruppo femminista storico napoletano Le Nemesiache, è un futuro contaminato da corpi androgini, dove l’abbattimento della norma dominante e degli schemi pre-impostati trionfa.
Infatti è proprio in questo periodo, tra gli anni ’70 e ’80, che i movimenti queer e rivoluzionari italiani iniziano a lottare e rivendicare i propri diritti, correndo verso un abbattimento della norma eteropatriarcale, la quale inizia finalmente a venire “traviata” (come affermava, in uno spettacolo del ’76, il collettivo Nostra signora dei Fiori capitanato da Mario Mieli).
Porpora lo sa bene, il suo percorso artistico è infatti estremamente connesso a tutto questo. I suoi disegni e collage urlano liberazione e lotta politica. Emerge anche il senso di appartenenza, fiducia e grandiosità che la famiglia queer, «non quella di sangue ma quella scelta» (Eve Sedgwick, 1993), riesce a generare.
A tratti, però, non possiamo fare altro che confrontarci con la sofferenza e la brutalità che la norma vigente esercitava ed esercita tuttora. I corpi non conformi vengono ancora oggi esclusi, umiliati e marginalizzati; «si vendono vite umane anche gratis».
Interessante è anche la sistemazione dello spazio espositivo. Oltre ai dipinti di Porpora veniamo infatti accompagnat* anche a livello uditivo. L’installazione sonora, realizzata per l’occasione da ALMARE, è intitolata Non siamo dove ci cercate. Quelli che ascoltiamo mentre passeggiamo all’interno della mostra sono audio di cori ai cortei, testimonianze e grida di una generazione che ha scalfito per sempre la corazza opprimente del patriarcato, dando inizio al cambiamento.
La potenza rivoluzionaria del movimento Lgbtqia+ esplode infine nell’installazione presente al centro della sala. Calate dall’alto e stampate su un materiale trasparente, una serie di testimonianze, manifesti e articoli, insieme a parti di diari che parlano delle lotte di quegli anni, catturano l’attenzione di chi passa, trasformando sguardi distratti in profonde riflessioni sull’animo umano, facendoci così passare dalla singola voce di Porpora all’urlo collettivo del movimento: Siamo marea.