Fattori, l’umanità tradotta in pittura in mostra a Palazzo Fava

L’esposizione, visitabile fino al 1° maggio 2023, è realizzata da Genus Bononiae in collaborazione con l’Istituto Matteucci

di Pierluca Nardoni, storico dell’arte e curatore


In una lettera del giugno 1890 all’amico, critico d’arte e teorico dei Macchiaioli Diego Martelli, un Giovanni Fattori sessantacinquenne si lamenta delle sue condizioni materiali. Lo fa con una forza e una dignità che a volerla cercare nell’umanità dei suoi quadri la si ritroverebbe tutta, facendo però un torto proprio alla sua pittura, che è molto più di un contegnoso spaccato sociale.

In quella lettera Fattori ricorda che un vecchio debito lo tormenta e che farebbe comodo anche a lui ricevere delle commissioni ben pagate, ma gli preferiscono artisti molto più in vista. Eppure, scrive, Camillo Boito, in quel momento ispettore del Ministero, durante la visita all’Accademia di Firenze dove Fattori insegna pittura rimane molto impressionato dal suo «lasciare la piena libertà allo scolare, e farlo studiare anche all’aria aperta con il modello sotto gl’alberi, e in mezzo ai fiori». Un attimo prima Fattori aveva ricordato alcuni allievi poi diventati validi pittori, come Plinio Nomellini e Guglielmo Micheli, e ancora non può sapere che a inizio Novecento frequenteranno i suoi corsi anche due giganti del nuovo secolo come Amedeo Modigliani e Lorenzo Viani.

Fattori, in breve, ha molte ragioni per lamentarsi. Basta vedere la nuova mostra di Palazzo Fava Fattori. L’umanità tradotta in pittura (curata da Claudia Fulgheri, Elisabetta Matteucci e Francesca Panconi, dal 16 dicembre al 1° maggio 2023) per comprenderne alcune. Sin dalle prime sale è possibile apprezzare la ricetta della “macchia”, che contraddistingue, a partire dalla fine degli anni Cinquanta dell’Ottocento, una cerchia di pittori toscani interessati alla grande novità della rappresentazione del vero. Fattori ne è l’esponente principale e in un’altra lettera racconta che la “macchia”, per loro, è «la solidità dei corpi di fronte alla luce»; da qui una prima e importante differenza rispetto all’Impressionismo francese, al tempo ancora in nuce, perché in artisti come Monet, Sisley o Renoir gli effetti di luce domineranno la scena finendo però per sacrificare la definizione delle figure. Nelle opere di Fattori, invece, non solo non si perde nulla dei corpi ritratti, ma i coaguli luminosi dovuti alla “macchia” contribuiscono addirittura alla loro definizione, sia pure in modo sintetico. Come accade in Soldati francesi del 1859, oppure in Impressioni fuori Porta Romana (1868-1870), in cui persino il titolo sembra rievocare le differenze di approccio tra italiani e francesi.

Proprio avvicinandosi a un palmo di naso a quella tavola ci si rende conto di un’altra peculiarità della pittura fattoriana che solo in mostra si può apprezzare adeguatamente: i supporti, per Fattori, non sono mai neutri e anzi forniscono spesso lo spunto iniziale per dare il tono cromatico alla rappresentazione. Perché cercare con le stesure pittoriche l’effetto di appannamento percettivo di certe visioni da sottobosco quando è il legno stesso, con le sue venature, a fornirlo? E il vantaggio di operare in questo modo è chiarissimo: si procede sempre per macchie, per zone di colore compatte, per afferrare saldamente la realtà, senza perdersi nulla.

G. Fattori, L’appello dopo la battaglia del 1866. L’accampamento, 1877 (credits: Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, Roma)

Forse per questo Fattori è noto soprattutto per le strepitose scene di battaglia (o di riposo precedente o successivo a una battaglia) che riescono a raccontare come poche altre cronache le campagne militari pre-unitarie. Ne è un esempio folgorante L’appello dopo la battaglia del 1866. L’accampamento (1877), dipinto conservato al Palazzo della Consulta a Roma e finora mai esposto al pubblico. La scena, composta e per nulla solenne, riesce a dare la misura di uno dei molti momenti di pausa di quelle battaglie: un drappello di soldati, molti dei quali a cavallo, si riunisce in una radura e Fattori sa fermare l’attimo nel leggero controluce delle figure, dando più sommariamente il terreno un po’ brullo ma registrando i dettagli importanti delle espressioni, dei muscoli dei cavalli, delle bisacce su cui si stende il sole. La “metrica” della composizione, apparentemente accidentale, è molto studiata, col ritmo alternato degli alberi che inquadra le fette di visione per accostamenti progressivi, rimandando alle strategie simili adottate dai pittori del Tre e Quattrocento toscano, da Fattori molto amati.

G. Fattori, La mena in Maremma, 1890 circa, (credits: Istituto Matteucci, Viareggio)

Le impressioni fattoriane riescono insomma a “durare”, a non morire nella estrema fugacità del momento come quelle dei cugini francesi, anche grazie ai ricordi dall’antico, e questo consente all’artista di restituirci il senso di azioni complesse, come i suoi famosi assalti di bersaglieri o le sue scene contadine. Gli esempi sarebbero molti, ma vale la pena almeno ricordare La mena in Maremma (1890 circa), capolavoro della maturità, che ritrae una marcatura di torelli con l’immediatezza della vita quotidiana e con la forza di una crocifissione del passato.

È in casi come questo che si vede quanto Fattori non sia soltanto un grande colorista, ma anche un disegnatore eccellente. Grazie a un punto di vista leggermente rialzato, l’artista fa in modo che l’area in cui si svolge la scena sia percepita come una figura geometrica molto irregolare e sghemba, sottolineando tale aspetto con il ritmo spezzato della staccionata. Le figure si collocano in quell’area a varie altezze e formano vari nuclei di azione allacciandosi solo al centro della scena, mentre lasciano molto spazio sul primo piano e su uno sfondo che corre rapido verso l’orizzonte, accentuando così l’effetto di concitazione della scena. Il tutto senza rendere convulsa la pennellata, senza fingere così lo spostamento dinamico delle figure che perderebbero in definizione e che restano invece salde e maestose come in un racconto epico.

L’articolo è stato realizzato per la rivista di CUBo – Circolo Università di Bologna, diretta da Massimiliano Cordeddu. In copertina: G. Fattori, Soldati francesi del ’59, 1859 (credits: La sottile linea d’ombra)


Un pensiero riguardo “Fattori, l’umanità tradotta in pittura in mostra a Palazzo Fava

  1. Pregevole commento che ben caratterizza l’opera di un artista troppo a lungo sottovalutato

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