La Project Room del museo di via Don Minzoni conferma la propria vocazione alla ricostruzione, al racconto e alla valorizzazione delle esperienze artistiche del territorio bolognese ed emiliano-romagnolo con “Viola! Pablo Echaurren e gli indiani metropolitani”, esposizione a cura di Sara De Chiara che mira a ricostruire e rendere tangibile lo straordinario fermento di una stagione complessa e per molti versi irripetibile. L’esposizione, aperta al pubblico lo scorso 28 gennaio, terminerà il prossimo 14 maggio
di Lara De Lena, storica dell’Arte
La mostra offre l’occasione di approfondire per la prima volta il rapporto di Pablo Echaurren (Roma, 1951) con il contesto bolognese attraverso una selezione di opere realizzate tra il 1977 e il 1978, di pagine di Lotta Continua, di collage, fanzine e illustrazioni ispirate agli avvenimenti e alla poetica del Settantasette.
Il percorso espositivo include un gruppo di “quadratini”, realizzati nella prima metà degli anni Settanta, la cui produzione è stata abbandonata proprio dopo gli avvenimenti di quell’anno così cruciale per Bologna. Oltre a questi, esulano dal biennio ’77-78 alcuni assemblage raccolti all’interno di scatole, appartenenti a una produzione recente (2020-22), incentrata sulle scoperte scientifiche legate all’uomo di Neanderthal, ma che tornano anche a riflettere sull’esperienza degli anni Settanta (quasi un passaggio di testimone tra indiani metropolitani e “neanderthaliani metropolitani”).

Tutti i lavori proposti provengono dall’archivio dell’artista a Roma e alcuni sono esposti per la prima volta, permettendo di attraversare l’opera di Echaurren e al contempo di immergersi nell’atmosfera di creatività diffusa di quegli anni. In particolare il display riflette sul passaggio nella pratica di Echaurren dalla pittura alla grafica, dalla galleria alla strada, dall’opera originale alla riproducibilità, dalla contemplazione alla fruizione collettiva. Viola!, parola che dà il titolo all’esposizione, è un’esortazione a violare, a rompere le barriere tra le discipline, i codici, gli schemi, per tentare di realizzare quella fusione utopica di arte e vita professata dalle avanguardie, che durante una breve ma prolifica stagione sembra realizzarsi.
Il doppio binario su cui si muove Echaurren in questi anni, tra l’“Arte” esposta nelle gallerie e l’illustrazione riprodotta sulle pagine dei giornali, diverge bruscamente nel 1977 e la mostra di Bologna marca questa deviazione. Si tratta dell’ultima occasione in cui i “quadratini” sono stati esposti, ma anche il momento in cui l’artista ne interrompe la produzione, il momento in cui decide di porre fine alla collaborazione con le gallerie per impegnarsi, mettere la sua creatività al servizio della controcultura, della militanza, “armato” di pennarelli, nei gruppi antagonisti legati al movimento del ’77, e condividere le nuove forme creative degli indiani metropolitani.

Il fatto che questa decisione sia presa a Bologna nel marzo del 1977 non è una coincidenza. In quello stesso mese gli scontri di piazza tra studenti e forze dell’ordine toccano l’apice della violenza, in seguito alla morte del militante di Lotta Continua Francesco Lorusso, ucciso da un carabiniere di leva durante una manifestazione studentesca, l’11 marzo. La notizia dell’uccisione è subito trasmessa da Radio Alice, fondata nel 1976 dal collettivo bolognese A/traverso, che ha avuto un peso decisivo nello sviluppo del pensiero del ’77 attraverso le pagine della omonima rivista.

L’articolo è stato realizzato per la rivista di CUBo – Circolo Università di Bologna, diretta da Massimiliano Cordeddu. In copertina: Pablo Echaurren, Through the looking glass (when I was young), 2022, Tecnica mista. Photo credits: Fondazione Echaurren Salaris, Roma.
Bello!