Strumenti come le assemblee cittadine e il bilancio partecipativo sono indubbiamente necessari in una città che ama definirsi “la più progressista d’Italia”. Ma se si sommano i tempi lunghi della burocrazia alla debolezza dei Quartieri, è subito chiaro che condividere davvero sul territorio le scelte amministrative e la programmazione, in queste condizioni, è praticamente impossibile
di Pier Francesco Di Biase, caporedattore cB
Chi volesse un saggio di cosa significhi materialmente la politica partecipativa, non deve far altro che collegarsi all’account di Mercato Sonato e dare un’occhiata all’ora e mezza di conferenza stampa (qui) con cui Comune e Quartiere – nelle persone di Elena Di Gioia, Simone Borsari e Adriana Locascio – hanno presentato alla città il progetto del nuovo polo culturale che, nelle intenzioni dell’amministrazione, dovrebbe sorgere nell’area dell’ex mercato rionale sotto il ponte di San Donato.
Il progetto non prevede il recupero di un edificio dismesso e degradato – come fu invece in principio, ormai otto anni fa – ma una vera e propria tabula rasa cui seguirà, se tutto andrà come previsto, la costruzione di un’altra struttura, completamente diversa da quella attuale. Un cambiamento radicale, pur nella sua assoluta legittimità giuridica ed estetica, che lascia qualche dubbio sui criteri con cui l’amministrazione – e in particolare, la Soprintendenza – sceglie gli edifici vincolati a una qualche forma di tutela. Perché se nel resto della città i mercati rionali hanno avuto giustamente grande attenzione e sostegno da parte di istituzioni e cittadini, non si capisce davvero la ragione per cui, in San Donato, quella che fu un’analoga struttura non debba ricevere lo stesso trattamento.

Certo ci sono le norme antisismiche e gli standard minimi di sicurezza da rispettare, ed è giusto preoccuparsene. Così come è un dato acquisito il cambio di destinazione d’uso che fa dell’ex mercato la sede di diverse associazioni del territorio, in una cordata che vede al suo capo Arci e L’Orchestra Senzaspine. Oltretutto, il nuovo progetto parte dall’esperienza di questi otto anni di assegnazione temporanea per offrire alla cittadinanza un luogo che persegua, nella sostanza, gli stessi scopi. Ciononostante rimane la sensazione che, in un quartiere dove da decenni si lascia libero sfogo alle perversioni di architetti e geometri, l’edificio del mercato fosse l’ultimo, se non l’unico, che si sarebbe potuto conservare almeno nella sua parte esterna, preservando così anche i grandi murales dell’illustratore Andrea Niccolai, che del Mercato è responsabile grafico.
A non convincere proprio, invece, sono tono e risposte di una parte delle istituzioni presenti al tavolo, nei confronti delle preoccupazioni di residenti e associazioni che, è bene ricordarlo, a quattro mesi dall’inizio dei lavori ancora non sanno dove e come potranno proseguire le loro attività quotidiane. A una scuola di ballo, per esempio, si è risposto a mezza bocca che le palestre scolastiche possono benissimo servire allo scopo. Affermazione che fa sorridere se si pensa alla quantità di diverse attività collaterali che contraddistinguono il lavoro di un’associazione, e al fatto che in San Donato-San Vitale hanno sede otto Case di Quartiere: con un minimo di programmazione, trovare uno spazio adeguato e temporaneo non dovrebbe essere molto difficile.
Un altro aspetto dirimente, correttamente evidenziato con l’aggiunta di un mea culpa dalla delegata alla cultura del Comune Elena Di Gioia – «forse lo abbiamo dato per scontato» – è quello relativo alla diffusa non conoscenza, tra i residenti, delle procedure di assegnazione degli spazi pubblici, a cominciare dai bandi. Una mancanza che si può senz’altro attribuire al cittadino, ma che assume una rilevanza politica se, come nel caso di Bologna, si è deciso di indirizzare l’attività verso un modello di “amministrazione condivisa”.
Strumenti come le assemblee cittadine e il bilancio partecipativo sono indubbiamente necessari in una città che ama definirsi “la più progressista d’Italia”. Ma se, come è successo stavolta, si fanno passare sei anni tra il percorso partecipato e la messa a terra del progetto, il rischio di generare confusione, incomprensioni e allarmismi è molto alto. Aggiungiamoci poi la debolezza strutturale e politica dei Quartieri, che dell’amministrazione dovrebbero rappresentare il presidio più accessibile, ed è subito chiaro che una vera politica di prossimità, in queste condizioni, è praticamente impossibile da praticare.
Sullo sfondo, resta l’eco delle parole rotte dall’emozione di chi, come Luca Cantelli, da coordinatore delle attività del Mercato Sonato ha visto un sogno nascere, crescere e impreziosirsi di anno in anno. Sensazioni che un bravo amministratore farebbe bene a tenere sempre in conto, perché sono la vera ricchezza dell’associazionismo. Un mondo in cui, molto spesso, si dona alla collettività senza chiedere granché in cambio.
Concordo sul fatto che una democrazia “partecipativa” non possa avere tempi così lunghi tra gestione dei bandi e successivo “inizio” dei lavori. Siamo tutti d’accordo che la democrazia ha tempi e modi che cozzano con i tempi “produttivi” dell’immediato digitale ma probabilmente si può e si deve fare di più. Come si può e si deve fare di più sul ruolo dei quartieri e sulla capacità di questi di permeare la comunità circostante di atti comprensibili e “disponibili” da parte dell’Amministrazione verso i cittadini. Ritengo, invece, plausibile il progetto che prevede un edificio tutto nuovo al posto del precedente ” mercato coperto poi Sonato” con criteri di progettazione nuovi e orientati a nuove esigenze di risparmio energetico. Le tradizioni e il tessuto sociale di una comunità possono tranquillamente prosperare, forse anche meglio, in contenitori più contemporanei e più in sintonia con il tempo che stiamo vivendo.
Nella città “più progressista” d’Italia la “rigenerazione” è intesa come abbatti e ricostruisci; magari con “criteri di progettazione nuovi e orientati a nuove esigenze di risparmio energetico”; magari alla faccia della storia degli edifici e dei luoghi; magari spiegando “dall’alto” della propria intelligenza, dell’innovazione, che tutte le altre città che recuperano spazi e vecchi edifici al riuso (e la lista potrebbe essere lunghissima) non hanno capito un c…o perché qui siamo a Bologna e “noi” il Marchese del Grillo.
Il nuovo spazio, come è stato presentato, sarà un luogo senza anima. Molto green eh, ma un luogo senza anima non emoziona. Un luogo senza anima non fa battere il cuore. Un luogo senza anima non fa sognare. Un luogo senza anima non è casa!
L’unica domanda da cui partire dovrebbe essere: “perché il sindaco abbatte uno spazio politicamente molto vicino a sè, se non il più vicino?” Alla fine si scopre che bilanci partecipativi, partecipazione dal basso, rigenerazione e coprogettazione hanno a che fare con il governo e non con la democrazia. Ma anche gli spazi che sono nati su questa onda come il Mercato Sonato, sono spazi di chi governa la città, non di democrazia. E forse questa è la risposta alla domanda iniziale