La domanda alla base della riflessione nasce da qui: quella geniale realtà – che è anche uno snodo ideale della mappatura della nostra città – conta un totale di 8.500 persone associate. Per fare un piccolo paragone, chi vi scrive è cresciuto in una città che ha circa 5.500 abitanti. E se, semplicemente, ci si fermasse?
di Andrea Femia, consulente digitale cB
Avete presente quella storia che a Bologna non si perde neppure un bambino? Non è che sia proprio così davvero.
Quando ti trasferisci in città, se ti muovi nel centro bolognese hai la netta sensazione di poterti perdere da un momento all’altro per quanto le strade siano spesso simili tra loro stesse. Spesso mancano riferimenti visivi nitidi, che generalmente trovano il modo di fare la differenza per ancorare il proprio orientamento alla capacità di definire punti A e B. Aiutano moltissimo i luoghi facilmente distinguibili e, quando piano piano ti allontani dal centro, le cose si fanno sempre più facili per l’occhio non abituato alle strade della città.
Tra questi luoghi, uno che non fai proprio fatica a distinguere e a scegliere come snodo ideale della tua mappatura della città è il Mercato Sonato. E fa un po’ male al cuore sapere che, tra poco tempo, nuove generazioni di persone accolte da questa città non avranno modo di utilizzarlo per mettere un freno al loro inadeguato orientarsi.
È logico che quello che segue non è nient’altro che un modo personale di vedere la vicenda, che è già abbondantemente stata analizzata da sua maestà capo redattore Pier Francesco di Biase in un articolo esaustivo sul senso della partecipazione (qui). La domanda alla base di questa analisi della questione è prettamente filosofica (vabbè, calmi, è un’iperbole), considerando quella che sembra una esigenza costante di andare avanti delle società, a costo di fare cose che danno la sensazione netta di essere molto meno utili di quanto non potessero apparire quando sono state ipotizzate.
La domanda è: esistono i presupposti per fare un passo indietro? In generale, mi chiedo se esista la possibilità da parte dei poteri costituiti, come per esempio è chi è predisposto ad agire su questo tipo di situazioni, di analizzare la vicenda e dirsi, e quindi dire anche alla comunità che quel potere glielo concede: «Sapete che c’è? Questa cosa non ha più senso rispetto a come l’avevamo pensata, ci prendiamo un altro poco di tempo per valutare, magari se la struttura è instabile troviamo il modo di fare dei lavori per renderla più stabile, e amen». Ok, forse è troppo lungo il pensiero di questo potere costituito, ma ci siamo capiti.
Qual è il limite che definisce se una cosa è meglio non farla? Un progetto già approvato deve davvero essere realizzato, se nel frattempo sono cambiate tutte le condizioni? Se nel frattempo una comunità intera si riconosce in uno spazio, nei progetti che quello spazio ospita?
È evidente che questo discorso vale in maniera specifica per il Mercato Sonato, un po’ perché il tempo lo rende necessario, un po’ perché io non credo che esista un singolo abitante della città che si sia trovato ad avere a che fare con l’Orchestra Senzaspine senza aver pensato «madonna che figata», e vi assicuro che se io dovessi fare un singolo nome e cognome di chi sta dietro la vicenda non saprei farlo. Non c’è personalismo, e se anche ci fosse non avrei problema a scriverlo. È il principio di quello che avviene in quella struttura che andrebbe salvaguardato non soltanto consentendo di avere un altro spazio, ma salvaguardando quel principio di continuità che lega il progetto allo spazio.
Non è sempre comodo esprimere opinioni su ciò che non si conosce benissimo. È evidente che un tecnico preparato in materia potrebbe semplicemente rispondere – faccio un esempio – che si perderebbe l’opportunità di un enorme finanziamento e che questo nella scala gerarchica delle necessità per la comunità viene prima, o che non ci sono le condizioni per salvaguardare la stabilità della struttura. È chiaro che non potrei che fidarmi, ma la domanda alla base di questo articolo rimane la stessa.
Se ci fosse la possibilità di fare un passo indietro, chi gestisce il potere sarebbe in grado di cogliere quell’occasione?
E se passasse anche da lì il progressismo? Dal riconoscere nella comunità che sa crescere e sa essere da esempio un valore da salvaguardare insieme allo spazio che ha saputo accudire?
Per finire, il Mercato Sonato conta un totale di 8.500 persone associate. Per fare un piccolo paragone, chi vi scrive è cresciuto in una città che ha circa 5.500 abitanti.
Provate a spiegare a una città di 8.500 persone che bisogna spostarsi da dove si è (lasciamo stare che non si sappia ancora bene né dove si va né quando) perché la città nella quale risiedono ha i fiumi che possono esondare. È legittimo immaginare che qualcuno di loro si alzerà per dire «scusate, ma se invece di andare via pulissimo i canali?».
Non fosse altro che per consentire a nuovi bolognesi d’adozione di avere dei punti di riferimento man mano che ci si allontana dal centro, potrebbe valere la pena fermarsi un attimo e, se possibile, fare un passo indietro.
sono d’accordo, preferisco mille volte l’idea di sistemare l’attuale mercato mantenendo le attività dell’orchestra. San Donato ha bisogno di questo, non di un edificio anonimo come tanti
Secondo me bisognerebbe rispondere al progetto del Comune con un altro progetto, cioè presentando un reale piano di ristrutturazione del luogo per opporsi all’abbattimento in modo più incisivo. Se ci fossero architetti e ingegneri pronti ad aiutarvi …
Il comune non gli frega di un’altro progetto, vuole fare quello che gli pare. L’ unico modo e’ occupare il mercato sonato e far casino