Economia della notte e rumore: anche l’orecchio vuole la sua parte

È un bene che vicesindaca e Giunta abbiano deciso di iniziare a discutere della vita notturna bolognese cominciando dagli aspetti economici. Tuttavia, è altrettanto necessario subordinare la “catena del valore” a limiti coerenti con un’idea di città socialmente e ambientalmente vivibile

di Ugo Mazza, già dirigente politico


Condivido la scelta della vicesindaca Emily Clancy e della Giunta di Bologna di discutere della “Economia della notte” prima ancora che del suo aspetto più esteriore, la cosiddetta movida. Una scelta che riguarda tutta la città ma si rivolge in particolare alle parti più coinvolte – o sconvolte – da quel sistema produttivo e commerciale inventato per i “consumatori della notte”, ingigantito dall’afflusso turistico. Un “divertimentificio” fortemente economico che funziona dalle 18 alle 6, con una “catena del valore” basata su “zonizzazioni ludiche” non programmate dal Comune ma “inventate” dagli operatori economici, che richiamano centinaia di persone grazie alla loro privatizzazione dello spazio pubblico. Una “zonizzazione” che determina rumore e caos sempre più insostenibile.

La tendenza alla “trasformazione” della città è analizzata nel libro 24/7 Il capitalismo all’assalto del sonno di Jonathan Crary, pubblicato in Italia da Einaudi: una tendenza basata sul “prelievo finanziario” che fa leva sull’estensione del tempo da sfruttare, senza tenere conto dei ritmi vitali della specie umana. Già oggi questa situazione contrasta con l’idea di una città socialmente e ambientalmente vivibile.

Per riavvolgere il nastro diventa necessario subordinare la “catena del valore dell’economia della notte” a limiti coerenti con quell’idea di città, il come dovrà essere al centro della discussione avviata dalla Giunta.
Una scelta che richiama tutti, operatori, istituzioni pubbliche e cittadini, al rispetto delle leggi che regolano le attività economiche in quanto tali, con limiti maggiori nella notte per la salute di cittadini e lavoratori, con il rispetto dei contratti di lavoro, la sicurezza e l’applicazione delle leggi di tutela dal rumore.

Quel rumore è parte delle “esternalità” frutto della “economia della notte”, che non possono essere ridotte, come vorrebbero gli operatori, a schiamazzi notturni. Le attività economiche quindi, giorno e notte, devono sottostare alla valutazione dell’impatto, interno ed esterno, della loro attività per il rispetto delle regole già esistenti, frutto di un DpR del 1991. La legge prevede anche la possibilità di deroghe comunali per tempi limitati e predefiniti, riconoscendo così la possibilità di superare quei limiti, ma solo per periodi specifici, non sempre.

Da quanto si legge, sembra che non si tenga conto della “zonizzazione acustica” del Comune di Bologna, che prevede per il centro storico il limite massimo di 65 Decibel di giorno e di 55 Db di notte. Questo limite vale sempre, in tutto il centro storico. Non si capisce, perciò, perché il Comune non agisca severamente contro il “rumore in libertà”. Capita a tutti di passare per Piazza Maggiore o nei T-Days e perdere il piacere di parlare con le persone a fianco, per il rumore di musicisti di strada con l’amplificazione elettrica invece della “naturalità del suono”; così come capita che locali diffondano musica amplificata al massimo all’intero e all’esterno con un rumore assordante, amplificato dai portici: un degrado ambientale che toglie il piacere del centro storico, mentre i lavoratori non portano le cuffie a tutela della loro salute. Sento dire che sarebbe in corso una revisione delle norme comunali sul rumore; confido che siano per rendere più rigoroso il controllo per la tutela della salute di cittadini e lavoratori e non certo per allentare i “lacci e lacciuoli” che limiterebbero l’economia della notte.

C’è anche chi pensa che il rumore sia segno di vitalità e “giovanilismo”; cosa facile da smentire: il rumore e frutto di sottovalutazioni culturali e scientifiche, se non della logica del massimo profitto che porta a non spendere per interventi tecnici capaci di contenerlo nei limiti della norma.

La “economia della notte”, lo so bene, significa anche lavoro, cultura, relazioni umane; ma senza queste tutele sarebbe come costruire un palazzo privo di servizi igienici, dopo un po’ sarebbe invivibile. Inoltre, non penso alla logica del “divieto”, bensì a quella della “sobrietà” necessaria per realizzare la scelta di una città vivibile e sostenibile e ancora di più per la città “climaticamente neutrale”, scelta dalla Giunta. La cultura e la pratica del “concetto di limite” sono decisive per il futuro della città.

Photo credits: Ana Petrenko


4 pensieri riguardo “Economia della notte e rumore: anche l’orecchio vuole la sua parte

  1. Infatti, forse non a caso, in questo “palazzo” mancano anche i servizi igienici…
    Scherzi a parte condivido tutto, soprattutto il richiamo ad una legge che c’è e che deve solo essere applicata, sanzioni comprese, non solo nella movida notturna ma anche di giorno.

  2. Condivido tutto dell’ articolo, anche il tono pratico-normativo.
    Riprendo la similitudine del “palazzo” per rilevare che manca anche la messa a norma secondo i regolamenti europei. Vedi, ad esempio, quello sulla dispersione di calore, per la quale vale l’ immagine delle fiamme usate per riscaldare i consumatori seduti nei cosiddetti Dehors: forse sconsigliate, ma attive e visibili ogni due passi nelle stradine del centro. Un esempio di consumo inutile che diseduca il cittadino, così come il rumore fastidioso o il mancato rispetto della pulizia dello spazio comune.
    Forse la saggia amministrazione della nostra città più cominciare a riflettere che non si può sempre accontentare tutti e che
    I primi referenti sono i cittadini di ogni ceto, età e condizione.

  3. Condivido al cento per cento. Convivenza e rispetto, non sopraffazione per la ricerca del massimo profitto economico

  4. Concetti chiari e sacrosanti, credo condivisibili dalla maggior parte dei residenti.

    Peccato che i rappresentanti della potente lobby dei somministratori di cibo e bevande siano sordi a questi argomenti in quanto interessati solo al “tintinnìo della cassa”. Qualcuno ricorda la feroce opposizione senza esclusione di colpi che misero in atto contro i T-Days? Poi hanno fatto due conti e le nobili motivazioni contrarie sono svanite…

    Peccato che anche l’Università, altra entità che trae beneficio e senso di esistere dalla presenza di una popolazione studentesca smisurata, non manifesti nessuna responsabilità sociale nei confronti della città disinteressandosi di quel che avviene fuori dai suoi palazzi.

    Sarebbe illuminante per noi cittadini un confronto pubblico tra Comune, Università e “Categorie” sulle rispettive idee di città.

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