Il blocco di via de’ Carbonesi spacca ancor più la città

Le chiusure a singhiozzo contrastano con l’organizzazione della vita e sono frutto di uno squilibrio tra gli interessi in campo. Sarebbe democratico rendere pubblici i criteri di questa “sperimentazione”; andrebbero coinvolti tutti; anche gli utenti dei bus che tra l’altro subiscono una sottrazione dei diritti contrattuali. Un tempo si parlava di “Bologna bottegaia” per l’attenzione a quelle categorie delle giunte di sinistra di allora. Oggi la situazione sembra fuori controllo

di Ugo Mazza, già dirigente politico


Premetto che non ho nulla contro le isole pedonali, anzi; penso che queste e la rete dei bus sempre uguali per 24 ore su 24 e sette giorni su sette siano un segno di civiltà; come già detto, ringraziando questo foglio che resta uno dei pochi aperti ai cittadini. Una scelta permanente nel tempo permetterebbe a tutte le persone di organizzarsi, adeguandosi a criteri di interesse generale della città, siano essi commercianti, residenti o turisti. La chiusura a singhiozzo, all’opposto, è frutto di uno squilibrio tra gli interessi in campo.

Infatti, il blocco di via de’ Carbonesi al sabato e alla domenica ha aggravato una situazione già grave per la rete del trasporto pubblico locale e per i cittadini che dovrebbero essere incentivati a usarla, invece di esserne espulsi. La città è ancora di più spaccata in due; le linee del Tpl sono sconvolte, muoversi da est a ovest e da sud a nord richiede tempo e fatica per camminare alla ricerca del bus dall’altra parte del centro. Camminare è bello, ma non quando viene imposto da interessi di parte.

Sabato, nella mia camminata obbligata da piazza Cavour a via San Felice, passando a piedi per via de’ Carbonesi ho visto un luogo deserto, portico e strada, con alcuni tavoli a cui sedevano una decina persone, contate. Si dice che la chiusura l’hanno chiesta i commercianti; non risulta che gli utenti dei bus siano stati consultati.

Ho letto che si tratterebbe di una “sperimentazione”. Interessante in quanto tale, ma sarebbe logico e democratico rendere pubblici i criteri che sono alla base di tale sperimentazione per permettere a tutti di valutarne l’esito; inoltre andrebbero coinvolte tutte le persone che in modo diretto o indiretto ne traggono vantaggio o svantaggio; tra questi anche gli utenti e gli abbonati dei bus di tutta la città, che tra l’altro subiscono una sottrazione dei loro diritti contrattuali.

Ma la questione sembra vada ben oltre il caso citato. Molti si ricorderanno quando si parlava di “Bologna bottegaia” per l’attenzione a quelle categorie delle giunte di sinistra di allora, ma oggi la situazione sembra fuori controllo. Non mi interessa un confronto astratto; quello che mi interessa è evidenziare come, diversamente da allora, gli interessi delle categorie organizzate si siano molto rafforzate mentre la rappresentanza organizzata dei cittadini, cioè il ruolo dei partiti, si sia fortemente indebolita. Inoltre, anche la stessa partecipazione attiva e autonoma, cioè i “comitati di cittadini”, sembra sia fonte di fastidio invece che ritenuta un sano confronto democratico proprio perché i cittadini vengono il più delle volte messi di fronte a decisioni già prese a cui sono costretti a reagire.

Senza esasperare un discorso così delicato, si può aggiungere che, almeno per questa ragione, se ne ricava l’impressione di un confronto privilegiato con le categorie organizzate, i corpi intermedi, ma in una logica di consolidamento del potere piuttosto che aprire tavoli di confronto tra tutti gli interessi in campo, problema per problema, come ci si aspetterebbe.

Per mia conoscenza, posso quindi sbagliare, Bologna soffre di una mancanza di “dibattito pubblico”, cioè quel confronto aperto e diretto tra assessori e cittadini nella fase di elaborazione delle scelte. Di questa strana situazione, per la città di Bologna, mi pare faccia parte anche la “teoria dell’ascolto” che, senza quei confronti diretti, evoca l’idea di delega assoluta se non autoritaria, “tu parla, io decido”.

Per quanto io conosco, capita troppo spesso di essere invitati a bellissime conferenze dove lo spazio per i cittadini si riduce a “qualche domanda”, se va bene; mentre in città ci sono molti temi che richiederebbero incontri costanti tra cittadini e amministratori, penso alla sanità, alla mobilità, al rumore in città, ecc. Ad esempio si legge che sono in discussione cambiamenti importanti di atti di programmazione rilevanti senza un chiaro e aperto dibattito pubblico prima della loro decisione, come il Pug o le regole sul rumore. Potrebbe essere un buon esempio discuterne in assemblee tra assessori e cittadini, quartiere per quartiere.

Fabrizio Barca, nel recente libro, evoca la necessità di «un confronto acceso, aperto, informato e ragionevole, ossia quel salutare conflitto da cui solo può emergere una maggiore giustizia ambientale e sociale».
Ecco, penso che la città “più progressista d’Italia” dovrebbe fare sfoggio di questa capacità.

Photo credits: Giorgio Bianchi/Comune di Bologna


3 pensieri riguardo “Il blocco di via de’ Carbonesi spacca ancor più la città

  1. Con chiarezza Ugo Mazza ha sollevato il problema fondamentale del modo di amministrare Bologna! Si scivola verso una autoreferenzialita’ preoccupante

  2. Bravo Ugo hai proprio ragione.trovo inaccettabile impedire ai cittadini con vari problemi di deambulazione di muoversi da una parte all altra della città sui mezzi pubblici.ogni giorno.

    1. Concordo Ugo. La teoria dell’ascolto dei cittadini da parte dell’amministrazione comunale è pura retorica! E vedo difficile l’inversione di questa tendenza, – oramai consolidata – di dichiarare l’attivazione del confronto, mentre le scelte sono già state fatte! Forse è la modernità della politica …

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