Dopo l’iniziativa “La Libertà è difficile e fa soffrire”, ospitata dalle nostre pagine in occasione della Festa della Liberazione, pubblichiamo ora le lettere inviateci dai lettori che hanno deciso di aderire all’appello lanciato nelle settimane scorse dalla presidente provinciale Anna Cocchi e da Mattia Fontanella (qui)
di Massimiliano Boschi, giornalista freelance e scrittore
Ciao Eutimio, tu lo sapevi che rischiavi di pagarne le conseguenze, ma lo hai fatto comunque, anche se tua moglie Lucia era incinta del vostro secondo figlio. Per un po’ l’hai fatta franca, ma il 19 settembre 1925 ti hanno beccato mentre diffondevi copie de “L’Avanti!”, il quotidiano socialista. I fascisti ti hanno prima malmenato e poi buttato in cella per quattro giorni per “propaganda sovversiva”. Questo non deve averti impressionato più di tanto, visto che, meno di tre mesi dopo, hai chiamato Libero il tuo primo figlio maschio.
Nei mesi successivi ti hanno chiesto di prendere la tessera del Partito Nazionale Fascista per continuare a lavorare in ferrovia e hai preferito andartene. Per quasi 15 anni hai lavorato in una miniera di ferro in Francia, a Bouligny, cittadina a una trentina di chilometri dal confine tedesco. Quando sei partito, Libero aveva meno di due anni e in Francia, tra il 1927 e il 1939, avete messo al mondo altri quattro figli. Poi è scoppiata la guerra e dopo soli nove mesi, i tedeschi erano già alle porte di Parigi. Giustamente, temevi che il tuo “curriculum” non sarebbe stato particolarmente apprezzato dai nazisti e che questo avrebbe messo nei guai tutta la tua famiglia. Così siete partiti in treno verso il sud della Francia. Siete arrivati ad Alès il 10 giugno del 1940, il giorno della “pugnalata alle spalle”, quando l’Italia fascista dichiarò guerra a una Francia ormai sconfitta. La notizia ti ha raggiunto appena arrivato, hai lasciato la famiglia in stazione e in preda all’ansia sei andato in cerca di aiuto. Ti hanno ritrovato il giorno dopo in un fosso di Alès, colpito dalle bastonate di chi voleva punire un “vigliacco italiano”. Sei morto tredici giorni dopo in ospedale e tuo figlio Libero si è ritrovato a dover mandare avanti la famiglia. Aveva 15 anni.
Quando Libero è morto, nel luglio del 2015, hanno trovato tra le sue cose una busta contenente una moneta da 10 franchi e un biglietto. C’era scritto: «Questa moneta è il guadagno del mio primo lavoro in Alès. A raccogliere pesche et albicocche. A quattordici anni et sei mesi». La famiglia è tornata a Bouligny pochi mesi dopo e, viste le difficoltà economiche, è rientrata in Italia nell’estate del 1943. Poco dopo, Libero è entrato nella brigata partigiana Santa Justa e, al termine della guerra, si è sposato, anche lui con una Lucia. Dal loro primogenito, Bruno, sono nato io.
Ecco Eutimio, volevo solo ringraziarti per quello che hai fatto. Per quel che posso, ogni singolo giorno cerco di godermi la libertà e la pace in cui sono cresciuto grazie a te e quelli come te.
Quanti Eutimio ci sono stati di cui non si conosce il nome né la storia, ma che ci hanno regalato la libertà di oggi! Grazie a tutti gli Eutimio!