Habitat, il contributo cooperativo all’abitare sociale

La casa da bene essenziale si rende fattore di esclusione, allontanando i meno abbienti e creando quartieri omogenei di benestanti, un fenomeno che rischia di essere irreversibile. Come invertire la tendenza? Le istituzioni possono fare molto. Il Piano per l’abitare, che promette 10mila case al 2030, genera aspettative importanti. È necessario però unire le forze. Ecco le proposte discusse nel convegno di lunedì 29 maggio al Palazzo della Cooperazione dove è stato lanciato Habitat Bologna

di Daniele Ravaglia, vicepresidente Confcooperative Terre d’Emilia


Gentrificazione. È la parola con la quale ci si riferisce a un fenomeno che ha scarsa visibilità, ma effetti decisivi sugli assetti urbani. Si tratta della progressiva emarginazione dei ceti meno abbienti dalle zone centrali della città e dalle aree limitrofe, per via del progressivo aumento dei prezzi dell’abitare. La casa, da bene essenziale, si rende fattore di esclusione, allontanando i meno abbienti e creando quartieri omogenei di benestanti. Una volta che il fenomeno si è realizzato è difficile, se non impossibile, invertire il senso di marcia.

Bologna non può rassegnarsi a questo destino, non può rassegnarsi a divenire una città rigidamente divisa in ceti, che emargina famiglie e lavoratori salariati in quartieri di periferia e ammette l’abitare cittadino solo a chi ha redditi elevati. Come invertire questa tendenza? La congiuntura odierna ci mette davanti all’evidenza della gravità del problema. È necessario intervenire anche forzando le logiche di mercato, laddove necessario. Il mercato è uno strumento, che funziona se risolve i problemi, se alloca risorse in modo efficiente, se permette l’accesso ai beni e ai servizi a quote crescenti di popolazione.

Quando il mercato si chiude su sé stesso e contraddice questi fini, quando restringe il numero di coloro che possono accedere ai beni essenziali, come l’abitazione, bisogna immaginare dei correttivi. I grandi fondi immobiliari tenderanno sempre a investire laddove i margini di profitto sono più ampi e più sicuri e non saranno logiche speculative a darci la Bologna che vogliamo.

Oggi Bologna vive gli effetti collaterali della sua capacità attrattiva: l’aumento della popolazione residente, i flussi turistici crescenti, l’arrivo di nuove professionalità, spesso anche ad alto reddito, hanno spinto in alto i prezzi delle case. Certamente, le istituzioni dispongono di leve importanti e possono fare molto. Il Piano per l’abitare, che promette 10mila case al 2030, genera aspettative importanti. È necessario però unire le forze. A partire da queste considerazioni, nel convegno di lunedì 29 maggio al Palazzo della Cooperazione abbiamo lanciato Habitat Bologna, progetto di abitare collaborativo che vede insieme Confcooperative Terre d’Emilia e Confcooperative Habitat, con la partnership tecnica di Kilowatt.

Habitat Bologna è il contributo che vogliamo dare ai nostri concittadini sul fronte della casa. In una prima fase, ci occuperemo di aggregare la domanda: le persone e le famiglie che vorranno accedere all’abitazione potranno associarsi, attraverso lo sportello presente sul sito habitatbologna.it. Quella domanda – bisogni, preferenze, urgenze – verrà studiata e analizzata con cura. A partire da essa, si avvieranno gli interventi abitativi. Come ha ricordato Gaspare Caliri, referente per Habitat Bologna, «vogliamo pensare la casa non a partire dai mattoni, ma dai bisogni delle persone, che trovano risposta non solo nel bene-casa, ma anche nei servizi di prossimità, in quello che la comunità può offrire».

Questa è la sfida: un paradigma di abitare che sia collaborativo fin dalle fasi progettuali e che veda nella scelta di associarsi in cooperativa una risposta capace di calmierare i prezzi e al contempo di soddisfare i bisogni. Troppo spesso i progetti immobiliari partono dalle capacità di spesa dei target potenziali, raramente si incomincia a progettare dai bisogni, dando risposte che siano funzionali e sostenibili economicamente. È stato importante poter presentare il progetto in dialogo con i rappresentanti delle istituzioni, la vicesindaca Emily Clancy e l’assessore all’urbanistica Raffaele Laudani, ai quali abbiamo voluto manifestare la nostra piena collaborazione sugli obiettivi comuni.

Abbiamo apprezzato l’avviarsi di processi di semplificazione, come quelli contenuti nella variante al Pug (Piano Urbanistico Generale) di Bologna, che snellisce le procedure, guarda alla riqualificazione delle aree dismesse ed estende la possibilità di installazione di impianti fotovoltaici. Ora, è il momento di procedere più speditamente sul fronte della casa come bene di inclusione, senza un impegno comune in questo senso non saranno evitabili quelle derive classiste, che per Bologna sono così innaturali.


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