Lettera 28 – Buon compleanno Anselmo

Dopo l’iniziativa “La Libertà è difficile e fa soffrire”, ospitata dalle nostre pagine in occasione della Festa della Liberazione, pubblichiamo le lettere inviateci dai lettori che hanno deciso di aderire all’appello lanciato nelle settimane scorse dalla presidente provinciale dell’Anpi Anna Cocchi e da Mattia Fontanella

di Danilo Zacchiroli, comunicatore


«“Che la terra ti sia lieve”. Ho sentito che lo dicevi al funerale del bisnonno al cimitero. Perché?». Anselmo era in piedi sul ciglio del fosso. Di là dal fosso c’era una rete verde. E al di là della rete, in piedi, c’era Nicola. La domanda veniva da lui.

«Perché si dice così a chi muore».

«Non capisco perché vi ostinate a dire cose solo perché “si dice così”», ribatté Nicola, mimando il segno delle virgolette. «Hai ragione. La terra dovrebbe esserci lieve quando siamo al mondo, non quando ci seppelliscono», riconobbe Anselmo.

Ad Anselmo quel dialogo era tornato in mente mentre guardava la casa dove viveva Nicola coi genitori. Era stata la grande casa del bisnonno di Nicola. Ora era sua.

Ma i genitori avevano deciso di ristrutturarla. Nicola era piccolo. Troppo piccolo per dire la sua. O forse solo per essere ascoltato. Al bisnonno era stata destinata una porzione del fienile, trasformata in miniappartamento. Ne avevano ricavati altri tre, di miniappartamenti, nel fienile. Ognuno col suo cortiletto chiuso dalla rete verde. Venivano affittati a turisti, per pochi giorni, o a lavoratori, per pochi mesi. Era più conveniente. Dicevano.

Anselmo ci aveva vissuto in quella casa. Per un mese. Nascosto in una stanza ricavata tra il fienile e la cucina. Era la stanza di “nessuno”. 

Così venivano chiamati i partigiani ospitati e nascosti. «Non è per nessuno. Se non sapete niente, niente potete raccontare ai tudèsc e ai faséssta». Era la frase che il nonno di Nicola diceva alle donne e ai bambini in casa, quando chiedevano per chi fosse il cibo che veniva preparato e lasciato sulla tavola quando andavano a dormire.

Lo aveva raccontato a Nicola. E Nicola lo aveva raccontato a casa. Ma i genitori avevano negato. «Storie di vecchi che confondono i ricordi con la fantasia».

Ma lui si fidava di Anselmo. Se lo ricordava quando veniva a scuola. Tutti erano interessati a sapere se avesse sparato e se aveva ucciso. Perché si era fatto chiamare Vipera. Mentre a Nicola era rimasta impressa questa frase: «…dobbiamo ringraziare le famiglie che ci accolsero, ci nascosero, ci curarono e ci sfamarono. Sono loro che ci hanno permesso di arrivare alla Liberazione… più che in battaglia, abbiamo vinto nei paesi e nelle campagne, dove la gente si fidava di noi e superava la paura».

La notizia della morte di Anselmo si diffuse in fretta. Tutto il paese ne parlava. Qualcuno con cattiveria, ma di nascosto: «Adess c’lé mort, magari a scuola si parlerà anche d’altro». «Che poi se non l’han preso era perché stava nascosto. Altro che Vipera».

Era morto d’estate Anselmo. Mancavano molti mesi alla sua festa. La rete verde, Nicola, l’aveva smontata durante l’inverno. Pezzo dopo pezzo. «Siamo più liberi se chiudiamo fuori gli altri?», aveva detto ai genitori. «Così nessuno si salva! Anselmo non si sarebbe salvato e noi non saremmo qui…».

Il 24 aprile Nicola terminò gli ultimi ritocchi. La mattina dopo, alle 8 in punto, dal cortile fece partire, fortissime, le note di Bella Ciao. La gente riconosceva la melodia ma non riconosceva le parole. Nicola aveva scelto la versione in lingua parsi, quella che ricordava Masha Amini. In molti si staccarono dal corteo per dirigersi verso la casa di Nicola. 

In pochi notarono che la rete non c’era più. Tutti, però, videro il muro della casa. Anselmo era ritratto come Obama, ma invece di “Yes we can”, sotto il ritratto c’era scritto “Yes we care”. Nel ritratto Anselmo sorrideva. Ma Nicola pensava che Anselmo di quella cosa avrebbe riso sonoramente, dicendo: «Te sei matto. Anche se è un bel regalo per il mio compleanno».


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