Ustica, 43 anni dopo

Pensare alla strage del 27 giugno 1980 prevede un certo inevitabile alternarsi tra sensazioni distinte. Da un lato, la solennità, dall’altro lo sgomento. Dopo tutto questo tempo, trovare la forza di continuare a chiedere verità è un atto che dà valore a un intero popolo

di Andrea Femia, consulente digitale cB


Pensare a Ustica prevede un certo inevitabile alternarsi tra sensazioni distinte. Da un lato, la solennità tipicamente incastonata tra i detriti delle rocce che una tragedia disgregata dal tempo porta ancora con sé; un senso di serio legato a squarci mai rimarginati.

Dall’altro, lo sgomento che si rinnova da 43 anni; quella ineluttabile morsa allo stomaco che si trasforma in bile al pensiero che il proprio Stato sembra abbia davvero scelto di rimanere a guardare, tollerando l’assenza di verità, accettando di buon grado che un intero popolo potesse concepire che di fronte a ragioni più grandi, neanche del tutto comprensibili, meno domande si fanno meglio è. Meno si scava a fondo, meglio è. Come se l’obiettivo finale fosse ammaestrare verso la dolcezza dell’ingenuità, più che verso la ruvida urgenza di sapere.

In parte, va detto, il risultato è abbastanza raggiunto. Non solo per quanto riguarda Ustica, ma più in generale per tutto ciò che non è riuscito a venire allo scoperto, l’atteggiamento ostativo nei confronti della verità ha funzionato, perché c’è una fetta di popolo che ha adagiato sé stessa sul principio che, in fondo, sapere non è poi una gran cosa. O, comunque, la sensazione è che per molti si stia bene lo stesso.

Si legge da fonti più o meno autorevoli che l’indagine avviata più di quindici anni fa dalla procura di Roma va verso l’archiviazione; che i fondi per i progetti per la memoria sono stati tagliati da questo Governo (ma pensa…) e che questo comporterà, ad esempio, che non ci sarà più lo scambio scolastico tra i ragazzi di Bologna e Palermo. Eppure cercando tra i trending topic della giornata di oggi, 27 giugno (anniversario della tragedia, mentre scrivo), Ustica non sale tra i più popolari, se non tra i politici locali, e tra le grandi testate giornalistiche e non, solo Report ha rimesso mano con forza incisiva sulla vicenda. Il resto del nulla.

C’è, però, fortunatamente, chi davanti all’idea di arrendersi alle visioni superficiali non ci pensa nemmeno per un istante a dire “noi no”. E dopo 43 anni, trovare la forza di continuare a farlo non è assolutamente roba da tutti. L’associazione dei parenti delle vittime della strage di Ustica non ha smesso di chiedere che si faccia luce su quella che è stata una delle tragedie più importanti della storia della Repubblica italiana. 81 morti, in uno Stato che funziona a dovere, uno Stato che non ha vergogna di volersi definire sovrano quando serve davvero e non quando c’è da fare i pagliacci da slogan, meriterebbero luce. Non solo verità, non solo giustizia, meriterebbero la luce politica e mediatica che nel corso del tempo rischia di venire meno.

Guardiamo (penso di poter parlare a nome di tutta la redazione di Cantiere Bologna) con stima e ammirazione alla stesura di un cartellone incredibilmente vasto e pieno di iniziative lodevoli che potete controllare per intero sul sito www.attornoalmuseo.it.

Stima e ammirazione non soltanto per la qualità e la cura delle iniziative, ma per il valore sociale che comportano; perché la luce passa anche attraverso l’arte, quando l’arte è racconto. Di ciò che è stato, per arrivare al fondo.


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