Il 19 luglio, alle 21.15 al Parco della Zucca, per la rassegna “Attorno al Museo” va in scena lo spettacolo immaginato da Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi a partire dall’opera esposta alla Triennale di Milano nel 1996 dal grande scrittore romano scomparso due anni fa
di Sara Papini, operatrice della comunicazione
Il 19 luglio, alle 21.15, Ateliersi porta in scena al Parco della Zucca una nuova esperienza immaginativa progettata per la rassegna Attorno al Museo, voluta dall’ Associazione Parenti delle Vittime della Strage di Ustica in occasione del 43esimo anniversario della strage. Gli autori Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi ritornano così a parlare del Dc-9 Itavia dopo lo spettacolo De Facto (qui) del 2016.

In una chiacchierata con Andrea ho cercato di approfondire lo spettacolo e come verrà presentato al pubblico. Ateliersi e l’Associazione Parenti delle Vittime della Strage di Ustica collaborano ormai dal lontano 2010, quando Daria Bonfietti chiese a Fiorenza Menni di leggere alcuni brani tratti dalla sentenza ordinanza del giudice Rosario Priore durante il Consiglio Comunale straordinario in occasione del 27 giugno, giorno dell’anniversario della strage. Nel 2016 è stata dunque la volta di De Facto e infine, due anni fa, Andrea Mochi Sismondi pubblica il libro Il segno di Ustica (qui), che raccoglie cinquanta conversazioni con diversi artisti occupatisi nel loro percorso della strage, partendo dalla domanda: «Perché è così interessante per un artista lavorare su questa tematica?».
Un percorso estremamente lungo, quello tra le due realtà, che ha portato ora al debutto di uno spettacolo interamente incentrato su Del Giudice, figura estremamente importante per la costruzione del discorso intorno alla strage di Ustica. Nel 1996, infatti, Del Giudice viene chiamato nel padiglione Italia della Triennale di Milano per presentare una sua opera dal nome Il linguaggio degli oggetti. Gli oggetti utilizzati per realizzarla sono rappresentativi del passaggio tra XX e XXI secolo, impregnanti anche di una forza premonitrice: «Una forza evocativa che va al di là dell’essere oggetti: simboli e profezie. Momenti di presente che si proiettano sul futuro». Tra questi oggetti spicca il tracciato radar del Dc-9 Itavia.
«Da quell’opera – mi dice Andrea – siamo partiti per un ragionamento sul nostro rapporto con gli oggetti, soprattutto legato al concetto della virtualizzazione: oggetti fatti ormai di informazioni e dati. Un rapporto tra informazione e oggetti a cui corrisponde una relazione tra esperienza reale ed esperienza mediata dalla visione e dalla comunicazione».
Lo spettacolo di domani sera si concentra quindi sulla relazione che si crea tra le parole di Del Giudice a cui danno voce Fiorenza e Andrea, la musica di Vincenzo Scorza e la performatività di quattro giovani corpi impegnati in una partitura gestuale costruita intorno al gesto del guardare. Oltre a Fiorenza e Andrea, ci saranno infatti altre quattro presenze in scena (il loro figlio Marco e tre allievi di Fiorenza giunti direttamente dalla Francia) impegnate in un concerto di sguardi, quattro presenze mute che agiscono intorno al concetto del “vedere”: «Queste parole sono presenti, e quindi udibili dagli spettatori, ma allo stesso tempo è come se fossero contemporaneamente in un altro luogo. Non ci sono oggetti in scena, solo parole e sguardi. Proprio perché il lavoro è sugli oggetti. Ovviamente, prima di immaginarci così la scena siamo passati dal dire “questi oggetti li recuperiamo”, ma il bello è stato lavorare sulla ricostruzione dell’oggetto che ogni spettatore e ogni spettatrice potrà fare attraverso l’immaginazione e la memoria».
A monte dello sviluppo dello spettacolo, una vera e propria caccia al senso tra le parole di Del Giudice, un grande studio archivistico, documentativo ma soprattutto umano, attraverso una serie di dialoghi con chi ha potuto essere testimone della creazione dell’opera del ‘96.
Il museo per la Memoria di Ustica, che farà da sfondo allo spettacolo, sarà aperto e visitabile. In questo modo lo spettacolo sarà in continuo dialogo con un’architettura che è contenitore di molto altro, «di un oggetto che non stai vedendo, ma di cui intuisci la possibilità di farsi visione».
Bellissimo ed esaustivo articolo. Sempre per non dimenticare la strage di Ustica. Grazie.