Nella Project Room del MAMbo è stata inaugurata lo scorso giugno, con la performance collettiva “Uroboro”, la mostra “Bologna St. 173, Un viaggio a ritroso. Congressi e Festival Eritrei a Bologna”, di Muna Mussie
di Sara Cosimini, storica dell’Arte
Il nuovo progetto va a confermare la vocazione del Museo nel valorizzare, ricostruire e narrare le esperienze artistiche e culturali di sapore squisitamente locale, riservando la sala ad artisti di origine bolognese o comunque legati alla città.
La mostra è frutto della collaborazione tra la giovane curatrice Francesca Verga (originaria di Milano, classe 1989) e Archive Ensemble, con il sostegno di Italian Council, il programma di promozione internazionale dell’arte italiana, voluto dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura e arrivato alla sua XI edizione nel 2022. Il progetto di Muna Mussie, vincitore dell’Italian Council 2022 e inserito nella rassegna di eventi Bologna Estate 2023, coinvolge numerose altre istituzioni: gli archivi storici di Bologna, il Resto del Carlino e Paolo Pedrelli CdLM Bologna, Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia – Fondo Giorgio Lolli, la Comunità Eritrea in Italia, gli Archivi fotografici dei fotoreporter Mario Rebeschini, Massimo Sciacca e Luciano Nadalini e, infine, la Biblioteca Amilcar Cabral.

La mostra è collegata a stretto giro a un altro progetto dell’artista, risalente al 2021: Bologna St. 173. Il sole in agosto, in alto nel cielo, batte forte, curata da Zasha Colah e Chiara Figone, sempre in collaborazione con Archive Ensemble. Il progetto è in continuo divenire, in quanto prevede la donazione al MAMbo di un’opera, che verrà ultimata nel 2024, in conclusione del periodo di ricerca. Sia la memoria personale dell’artista che quella collettiva di un popolo intero, quello eritreo, vengono riattivate grazie a una serie di fotografie e scritti tratti direttamente dall’archivio storico dei Congressi e Festival Eritrei, che hanno avuto luogo a Bologna, senza alcuna interruzione, dal 1972 al 1991.
La narrazione degli eventi messa in atto da Muna Mussie viaggia anche attraverso una selezione di opere: alcune riguardanti le tappe precedenti della sua ricerca, altre totalmente inedite, come Uroboro, della quale possiamo ammirare il risultato finale in mostra. La performance è un rito collettivo ben augurante che segue un movimento circolare, citando sia le danze tradizionali della cultura eritrea che la figura dell’uroboro. L’uroboro è un simbolo antichissimo, rappresentato da un serpente che si morde la coda, metafora dell’energia universale che si consuma e si rinnova in un cerchio continuo di inizio e fine, rafforzato dall’immagine del serpente che, nel suo cambio ciclico di pelle, rivela l’essenza di un nuovo inizio.

Ma come mai proprio Bologna è simbolo di indipendenza e libertà per l’Eritrea? Forse non tutti sanno che, fin dal principio della guerra di liberazione dal regime dittatoriale etiope, iniziata nel 1961, la città emiliana prende una posizione ben definita, schierandosi con la popolazione eritrea a favore di un futuro indipendente e rispettoso delle diversità etniche e religiose. La città emiliana diventa, inoltre, un punto di riferimento saldo e sicuro per la diaspora eritrea durante la lotta per la libertà. Il legame con Bologna è talmente forte che nel 1993, al termine della guerra, il neo governo eritreo, fresco di proclamazione da parte del presidente Isaias Afewerki, dedica alla città una strada, intitolata proprio Bologna St., nella capitale Asmara, come segno di riconoscimento permanente del ruolo fondamentale che essa ha avuto nel faticoso raggiungimento della conquista di indipendenza.
Nel percorso di visita ciò che predomina è il colore argento, che si ritrova in varie forme e materiali; lo possiamo osservare in scultura, ricamo, peltro, nastro adesivo, capelli finti, vinile e forex. Il colore, lo stesso del tallero (l’antica moneta eritrea), instaura un dialogo tra le opere e stabilisce una sorta di immaginario fil rouge che lega Bologna all’Eritrea, divenendo così una metafora dell’unione dell’intera umanità. I materiali dell’archivio sapientemente selezionati e le opere di Muna Mussie diventano memoria e racconto visivo della storia da conoscere, tramandare e mai dimenticare.

Muna Mussie nasce in Eritrea nel 1978 e si trasferisce molto giovane a Bologna, dove inizia la sua carriera artistica nel 1998 nella compagnia teatrale Teatro Clandestino, con la quale collabora fino al 2001, lavorando come attrice e performer. Nel 2002 frequenta il Corso Europeo di alta formazione dell’attore, condotto dal noto regista e cofondatore del Teatro Valdoca, Cesare Ronconi, proseguendo la sua collaborazione come attrice fino al 2012. Contemporaneamente, dal 2001 al 2005, Muna Mussie è parte fondante del collettivo di ricerca Open e nel 2005, a seguito della performance “opentolikemunamussie”, inizia a maturare il desiderio personale di indagare sui molteplici modi di stare in scena.
Artista poliedrica, dimostra di saper comunicare con medium molto diversi tra loro, prediligendo sempre la parola e l’empatia verso il prossimo, come in Persona (2022), progetto per ArteFiera 2022/Oplà – Performing activities/Xing, dove la pratica del cucito fa da medium per l’incontro vis à vis con l’artista e con il proprio io. Il lavoro di Muna Mussie scandaglia i linguaggi della scena e delle arti performative attraverso la visione, la parola e il contatto, dando così una forma al cortocircuito di senso che scaturisce tra i poli diversi e talvolta opposti dell’espressione artistica.

La mostra nella Project Room del MAMbo rimarrà aperta fino al 10 settembre 2023 ed è un’ottima occasione per conoscere meglio uno dei tanti progetti artistici della talentuosa Muna Mussie.
L’articolo è stato scritto per la rivista di CUbo – Circolo Università di Bologna, diretta da Massimiliano Cordeddu. In copertina: la targa ‘Bologna St. 173’ nome di una via che si trova ad Asmara e che l’allora Governo eritreo, proclamato da Isaias Afewerki nel 1991, al termine della guerra d’indipendenza, ha voluto dedicare alla città di Bologna per ricordare il ruolo fondamentale che ha avuto per gli eritrei durante i lunghi anni di lotta.