Slow City, la polemica non rispetta i 30 all’ora

Città30, progetto che richiede soprattutto una rivoluzione culturale. Saprà l’Amministrazione comunale conquistare il consenso dei bolognesi abbattendo due mostri sacri chiamati velocità e comodità? Un terzo dei cittadini, dice l’assessore Orioli, già si muove a bassa velocità. Ma nel dibattito manca la loro voce. Servono pragmatismo e condivisione per evitare che il piano vada fuori strada in una città conservatrice

di Achille Scalabrin, giornalista


«Una città più sicura, più vivibile e più pulita», è quanto promette l’assessora alla mobilità Orioli quando Bologna sarà ridisegnata secondo i progetti dell’amministrazione comunale (qui). Città 30 compreso. In corso d’opera è probabilmente giusto dare credito a un programma che ha avuto l’avallo degli elettori, ma senza dimenticare che nel capitolo Passante la compagine del governo cittadino ha già sperperato buona parte della sua credibilità.

Sulla Slow City si gioca il resto, e soprattutto, come ben sottolineato da Giampiero Moscato, il suo futuro. L’auspicio è che superi la prova, possibilmente senza pretendere adesioni fideistiche ma ascoltando le osservazioni dei cittadini che vivono la città ogni giorno e non soltanto immaginandola dal Palazzo.

È proprio il mancato ascolto preventivo uno dei punti più deboli di tutta l’operazione, che si tenta di nascondere con giochi di parole come «il coinvolgimento diretto delle cittadine e cittadini, che potranno dare un contributo personale alla campagna di comunicazione» prevista dal prossimo gennaio, o come il questionario d’ascolto presente sul sito bolognacitta30.it.

I 30 km/h generano legittime perplessità (i pregiudizi non fanno testo), ma l’assessora afferma di essere pronta a «rimodulare in positivo il provvedimento dove ce ne fosse reale bisogno», dandosi una deadline di sei mesi. Si tratterebbe, in altre parole, di un ritorno a quello spirito pragmatico e condiviso (qualcuno in altri tempi avrebbe detto socialdemocratico) che aveva fatto di Bologna un esempio negli anni Settanta/Ottanta. Meno spot e più realismo.

Non serve affermare che questa è “la città più progressista” (in base a quali criteri, da quando, a favore di chi non è mai stato spiegato, poiché gli slogan non comportano ragionamenti), serve stabilire qual è in realtà sotto le Due Torri e dintorni il Gross national happiness che stabilisce la felicità dei cittadini sulla base di quattro cardini: lo sviluppo sostenibile, la conservazione ambientale, il buon governo e la promozione della cultura.

Città 30 può rientrare nel Gnh (ma meglio sarebbe parlare di Gross local happiness) a patto che gli amministratori cui è affidato il governo di Bologna si impegnino in quella grande rivoluzione culturale (e mentale) senza la quale il progetto è destinato a fallire, soprattutto in una città conservatrice.

Così come fu per il centro storico senza traffico, per Piazza Maggiore senza auto, per il parcheggio sotterraneo in Piazza VIII Agosto e anche per la difesa della zona collinare, è necessario disinnescare con pazienza, oltre che con determinazione, quelle abitudini pluridecennali che avvelenano le nostre giornate senza che per ciò ci decidiamo alla leggera a rinunciarci.

Velocità e comodità sono dei mostri sacri da combattere con astuzia, diplomazia, coraggio. E soprattutto mostrando alla cittadinanza un orizzonte ben migliore di quello attuale, spiegando che tenere il passo con il futuro comporta anche qualche sacrificio.

La consultazione, delle categorie come dei cittadini, non dev’essere tuttavia la replica della farsa già messa in scena per il Passante (per non andare fuori tema, è bene tralasciare qui l’analogo discorso per la movida), va misurata concretamente (tot proposte fatte/tot proposte accettate).

Sostiene sempre l’assessore Orioli che già un terzo di Bologna è oggi zona 30 km/h e che «in quelle aree c’è stato un miglioramento della qualità della vita oltre che un incremento della sicurezza stradale». Perché allora non dare voce ai bolognesi della Slow City, non farne i testimonial di una rivoluzione che loro già conoscono dal 1989? Sono tante le città in Europa, aggiunge Orioli, che già hanno adottato la stessa politica «con ottimi risultati». Anche in questo caso, le testimonianze dirette sarebbero un buon supporto per l’Operazione Convincimento.

Andare a 30 chilometri all’ora non è ovviamente la soluzione di ogni problema di mobilità, soprattutto in un sistema socio/economico che tende a una progressiva massiccia ‘immissione’ di automobili nelle nostre strade. Il sistema integrato auto/treni, abbinato a tram e ciclabili dovrebbe essere la risposta, secondo i piani del Palazzo. Ma mentre anche su questo sarebbe bene avere più concretezze e meno polemiche, per ora basterebbero risposte a tre semplici domande: perché i Quartieri non sono stati coinvolti nel confronto con i cittadini?; chi controllerà il rispetto dei 30 km/h (autovelox, quanti e dove; agenti della polizia locale, quanti)?; quanti sono i maxi e medi parcheggi previsti in città da qui alla fine del mandato della giunta?

Per andare piano, i bolognesi si attendono risposte veloci e chiare.


3 pensieri riguardo “Slow City, la polemica non rispetta i 30 all’ora

  1. Un ottimo articolo ! Aggiungerei anche che l’amministrazione dovrebbe chiarire il piano per la mobilità pubblica anche nell’ottica della sostenibilità : al di là delle due linee di tram , cosa prevede per arrivare ad avere un trasposto pubblico 100% elettrico ? TPER entro quando avrà una flotta solo elettrica ? E che piano per i taxi e le auto blu ? Non sarebbe il caso , laddove fattibile , di creare un tavolo con tutte le forze cittadine per creare un piano condiviso di creazione di una rete di colonnine per la ricarica ? E via dicendo

  2. Bellissime parole ma appunto solo parole. Al solito si spacca la città fra progressisti illuminati e conservatori trogloditi. il vero problema non sono i 30 km/h , necessari indispensabili in alcuni (larghi) tratti della viabilità cittadina (in molte zone esistono già) il vero problema è la mobilità . Non esistono tram metrolitane (di superficie o meno) spostarsi da un capo all’altro della città già ora si va meno dei 30 Km/h. Troppo si è parlato di questo , si è generato uno scontro che impoverirà la sinistra (ahimè) , parliamo di quello che (già in parte si sta facendo o su quello che si farà). Eliminiamo il tema dei 30km/h (non significa che vanno intensificate le zone ) ma parliamo d’ora in poi solo di progetti di mobilità altrimenti continueremo tutti a scrivere di filosofia con uno snobbiamo oggi mal tollerato.

  3. Interessante questo articolo di Achille Scalabrin. Soprattutto, per ragioni mie di conoscenza professionale, la parte che esorta a recuperare quel gap comunicativo necessario. Concordo: chi meglio dei cittadini che hanno già sperimentato Bologna 30, può testimoniare la propria esperienza, positiva o negativa che sia. Esprimere perplessità o entusiasmi?
    Per aver lavorato al Future Film Festival e averli coinvolti, constatando la loro bravura, so che esiste flashgiovani ( flashgiovani.it ):”È il portale dei Servizi per i giovani del Comune di Bologna. La sua redazione è un laboratorio dinamico in cui i giovani, tirocinanti e volontari SNC e SVE, si alternano nella produzione di servizi di informazione e comunicazione utili a tutta la collettività: un portale “dai giovani per i giovani”, quale strumento concreto di partecipazione e cittadinanza attiva, finalizzato anche all’occupabilità dei giovani”
    Li ho visti all’opera, intervistare ospiti e pubblico del FFF e ricaverne brevi video informativi: bravi!
    Dopo un necessario periodo di formazione per conoscere bene l’argomento, con l’Assessora Orioli e chi essenziale, sarebbero capaci di usare uno strumento comunicativo, diretto a pubblici giovani e, dunque, anche alle loro famiglie, amici e studenti, che racconta meglio di qualunque parola l’esperienza. Magari proiettando il risultato del loro impegno attraverso la rete del circuito cinema, prima dei film, o in occasione di incontri musicali e culturali in genere.
    Le risorse, per fortuna, questo Comune le ha: si tratta di conoscerle tutte e usarle bene.

    Giusi Raimo, esperta in relazioni pubbliche e comunicazione.

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