Non facciamo di Piazza Verdi l’ennesimo “mangificio”

L’imminente chiusura della libreria Patron in piazza Verdi pone nuovamente l’urgenza di dare alla zona universitaria una geografia commerciale che non sia totalmente ripiegata sulla somministrazione di alimenti e bevande. Le direttive europee, prima ancora del “decreto Unesco” emanato dal Comune, possono e devono essere utilizzate a questo scopo

di Otello Ciavatti, Comitato Piazza Verdi


Nel 2019 il Comune di Bologna, su proposta dell’allora sindaco Virginio Merola e degli assessori Valentina Orioli e Alberto Aitini, prese una decisione di notevole valore programmatico se si considera la situazione del sistema commerciale della zona universitaria.

Il Comune decise che, per un periodo di tre anni dall’entrata in vigore del Regolamento – cosiddetto “Decreto Unesco”- era vietato l’insediamento di nuove attività di commercio al dettaglio in sede fissa dei generi appartenenti al settore alimentare, somministrazione di alimenti e bevande, esercitata in qualunque forma.

Le eccezioni riguardavano solo attività a carattere accessorio all’interno di teatri, cinema, librerie e musei, mense aziendali, ospedali, asili, oppure in occasioni temporanee per manifestazioni di interesse pubblico.

Il Comune cercava in questo modo di trovare uno spazio di manovra all’interno del sistema legislativo istaurato dalla direttiva Bolkestein del 2006. La direttiva emanata dall’Unione Europea – e recepita in Italia dal Decreto Bersani – aveva liberalizzato il settore del commercio per attività fino a 250 metri quadrati. Eventuali limiti a nuovi insediamenti potevano essere imposti solo per motivi imperativi di interesse generale connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente urbano e culturale.

L’intervento pubblico era quindi previsto tramite atti legislativi e di regolazione generale specificatamente volti a imporre limiti all’attività di impresa, a tutela di interessi pubblici attinenti all’utilità sociale, alla sicurezza, alla salute.

Questa possibilità non è in contraddizione con l’articolo 41 della Costituzione, che sancisce la libertà di iniziativa economica privata, ma prevede l’intervento programmatico e di controllo da parte dei comuni davanti a specificità concrete di «fini sociali che necessitano tutela».

La zona universitaria, da questo punto di vista, è un luogo perfetto per l’applicazione del controllo possibile sul sistema economico commerciale.

Alcuni esempi. Via Petroni, lunga duecento metri, contiene circa cinquanta attività di somministrazione, aperte normalmente dalle 18 alle 3 di notte. Piazza Aldrovani non ha più un mercato dell’ortofrutta, sostituito da attività di somministrazione aperte fino a tarda notte.

Il coordinamento dei comitati del centro storico pone da tempo il problema del riposo notturno, aspramente minacciato da vari fattori, e quindi della tutela della salute come valore irrinunciabile sancito dalla Costituzione. Per questa ragione abbiamo chiesto di intervenire per modificare la composizione delle attività, gli orari, gli insediamenti, usando proprio la direttiva Bolkestein.

Un caso molto concreto riguarda una storica libreria di piazza Verdi, la libreria Patron, che da decenni serve gli studenti con testi universitari. Per ragioni di carattere economico la libreria è costretta a chiudere e verrà sostituita, pare, da un’attività di somministrazione.

Ecco un’occasione irripetibile per affermare un principio di controllo e contenimento di attività destinate ad accrescere l’offerta di alcool e cibo in un contesto già ampiamente saturato. Il Comune deve impedire che si renda ancora più vulnerabile un luogo già ampiamente stressato da raduni notturni, bottiglie, rumore, spaccio, vendite abusive di birra.

Alcuni potrebbero obiettare che, in quella parte della piazza, c’era un tempo il prestigioso ristorante Cantunzein, la cui sorte fu decisa dalla rivolta del ’77 seguita all’uccisione di Francesco Lo Russo. Ma non pare, dalle prime notizie, che vi sia l’intenzione di ripristinare l’antico ristorante o qualcosa di simile.

Per questa ragione chiediamo che si parta da lì per riordinare la composizione economica della zona universitaria, che merita un progetto culturale incentrato sulle eccellenti istituzioni culturali presenti e non l’ennesimo banco di birra.


8 pensieri riguardo “Non facciamo di Piazza Verdi l’ennesimo “mangificio”

  1. Assolutamente condivisibile. Sarebbe ora che il Comune svolgesse i suoi compiti di tutela del centro storico e non interpretasse la Bokestein al di là della Bokestein

  2. La transizione dalla città “dotta”, attenta alla cultura della mente, alla città “grassa”, attenta alla cultura della pancia. Un tempo le due anime convivevano; oggi la seconda, più facilmente conseguibile, prevale sulla prima, che invece richiede una fatica e una perseveranza non più di moda tra i giovani. Il Comune ha gli strumenti per evitare questa deriva, compresa una rigorosa applicazione del “decreto Unesco” (divieto di apertura di nuovi locali “mangia-bevi” in centro storico) attraverso un minuzioso vaglio e blocco dei progetti “pseudo-culturali” che pretendono di aggirare il divieto Unesco abbinando una scaffalattura di libri a un ristorante o una lezione mensile sul caffè a un bar. Altrimenti dal sindaco della cultura avremo il sindaco dei taglieri.

  3. D’accordo Otello! Prendere la strada che indichi è impostare un modo “rivoluzionario” rispetto alla facile banalità del vivere rapido e consumistico.
    La cultura è relegata all’università.
    Se ci si guarda attorno, tante occasioni poca impronta culturale.
    Tutto rivolto al medio-basso.

  4. Se sarà l’ennesimo mangificio anche qui come Piazza Aldrovandi, sarà l’ennesima sconfitta. Una città completamente votata al cibo (spesso di scarsa qualità). Una politica fallimentare.

  5. Ho visto i commenti molto appropriati e motivati.Siamo impegnati in una battaglia per conservare la migliore tradizione culturale , favorendo le innovazioni che rendano maggiore qualità alla vita.

  6. Sono totalmente d’accordo sul problema molto vivo e sull’ impostazione. Il tempo per prevedere e provvedere c’ è e c’è anche una diffusa sensibilità cittadina intesa a limitare e – volesse il cielo- limitare il luoghi di somministrazione di cibo e bevande.
    Perché non emanare un bando di concorso per pensare ad attività alternative?

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