Se il mercato si polarizza e le disuguaglianze crescono, nel manuale del buon politico di sinistra la soluzione prospettata qual è? La redistribuzione. E come redistribuisci, in una società democratica e in un sistema che, piaccia o non piaccia, è in mano a pochi e potentissimi player? Con investimenti pubblici e politiche keynesiane. Anche sul mercato turistico. Una suggestione “profana” per la crisi degli affitti bolognese
di Pier Francesco Di Biase, caporedattore cB
Tra le tante suggestioni lasciatemi dall’intervista “collettiva” a Matteo Lepore nella sala Salvador Allende della Festa dell’Unità (qui), ce n’è una, relativa all’emergenza abitativa, che mi ha dato particolarmente da pensare.
L’evidenza, ascoltando le risposte del sindaco su un tema tanto attuale quanto delicato, era che accanto alla consapevolezza dei rischi elettorali che la posizione assunta dall’amministrazione comporta («il 67% dei bolognesi – ha ricordato Lepore – ha la casa in proprietà») ci fosse anche l’urgenza di dotare gli enti locali di nuovi strumenti regolatori, ancora oggi e chissà per quanto assenti nella giurisprudenza italiana. Tanto più che in prospettiva, continuava il sindaco, al grosso di quel 67% di patrimonio immobiliare potrebbe non corrispondere per nulla una percentuale non dico uguale, ma nemmeno vicina di cittadini, a causa della speculazione sempre più marcata di grandi agenzie e fondi di investimento.
Com’è noto, il Comune di Bologna ha già messo in campo diverse iniziative per contrastare l’emergenza, la più importante delle quali è senza dubbio il Piano per l’abitare. Tra le misure contenutevi, oltre ai molti milioni di investimenti per realizzare diecimila alloggi in dieci anni, è particolarmente interessante il ruolo attribuito alla nuova Agenzia pubblica per la casa, che dovrebbe fare da intermediario tra proprietario e inquilino in fase di contrattazione, nonché da garante in caso di mancati pagamenti, che sono poi uno dei motivi principali per cui i privati preferiscono gli affitti brevi.
Tra i limiti di questo ambizioso Piano, tuttavia, ce ne sono due particolarmente evidenti: il primo è che, come ha ricordato anche Lepore, la popolazione bolognese continua a crescere a ritmi che rischiano davvero di rendere insufficienti anche i diecimila nuovi alloggi. Il secondo, e qui il parere è molto più modesto e personale, è che non c’è traccia di interventi pubblici sul mercato degli affitti brevi. E non sto ovviamente parlando di quelli, vaticinati da più parti, di carattere normativo.
In attesa di questi ultimi, tuttavia, qualcosa bisognerà pur fare. E se si vogliono far combaciare la disponibilità di alloggi con l’impegno a non consumare ulteriore suolo, l’unica via possibile, ovviamente, è agire sull’esistente.
Stando a quanto annunciato, la nostra amministrazione ha iniziato da tempo a interloquire con soggetti pubblici e privati per acquistare aree demaniali e private dismesse su cui poter costruire. Ma se il Comune di Bologna o la Regione, tramite soggetti come Acer o una sua sussidiaria di nuova creazione, intervenissero con investimenti pubblici anche nel mercato degli affitti brevi offrendo, come già per gli affitti tradizionali, un’alternativa più economica agli utenti, quali sarebbero gli effetti?
Non si tratterebbe certo di destinare una quota parte dei nuovi insediamenti allo scopo turistico, ma di acquistare massicciamente il già costruito sul mercato privato, così da “sbloccare” un patrimonio immobiliare ormai a beneficio di pochi e limitare la speculazione. Sul lato promozionale, invece, si potrebbe lavorare in collegamento con la nuova fondazione Bologna Welcome, di cui tanto si parla, per creare una piattaforma pubblica alternativa ad Airbnb, Booking&co., sulla falsariga di quanto Jeremy Corbyn propose anni fa per contrastare il monopolio di fatto delle cosiddette Big Tech.
Se il turismo è davvero qui per restare, sarebbe un’entrata in più per le casse dell’amministrazione – che renderebbe più sostenibile l’investimento – nonché una leva possibile per agire sul mercato immobiliare e imporre, combinandola con l’aumento dell’offerta abitativa già prevista dal Comune, una calmierazione dei prezzi. Se volete, una specie di quantitative easing del mercato immobiliare e della rendita “turistica”. E nulla vieterebbe, in caso si realizzino le previsioni demografiche, di convertire quegli affitti brevi in affitti tradizionali.
Mi rendo perfettamente conto che una simile strategia, ancorché foriera di dubbi sulla fattibilità a causa di vincoli di bilancio e normative nazionali ed europee, non può che avere necessariamente un respiro lungo, dunque poco incisivo sulla stringente attualità. Ma a rileggere Campos Venuti e la stagione dell’urbanistica riformista ci si rende conto che la nostra città, in un passato che sembra remoto ma è tremendamente attuale, ha assunto per molto tempo atteggiamento e iniziative di aperto contrasto alla rendita urbana. Dalle case popolari in centro storico all’acquisto di terreni agricoli, solo per fare gli esempi più noti, per decenni le amministrazioni che si sono avvicendate a Palazzo d’Accursio hanno investito capitale pubblico per limitare l’insorgenza della speculazione privata, con risultati decisamente meritori.
D’altro canto, se il mercato si polarizza e le disuguaglianze crescono, nel manuale del buon politico di sinistra la soluzione prospettata qual è? La redistribuzione. E come redistribuisci, in una società democratica e in un sistema che, piaccia o non piaccia, è sempre più assoggettato allo strapotere di pochi potentissimi player? Con investimenti pubblici e politiche keynesiane. Perché no, anche nel settore turistico.
Non è facile immaginare che una Amministrazione Comunale che non riesce a difendere lo spazio pubblico- strade, vicoli, portici, cortili e passaggi coperti- dall’invasione di tavolini e sedie di ristoranti, bar e pizzerie, possa/voglia difendere l’abitazione da una speculazione privata sempre più vorace.