La prima volta di un consiglio comunale in uno stabilimento di Cbd

Il dubbio è una virtù scomoda, ma se la politica non si pone dei dubbi rinuncia alla sua principale missione di analisi della società che rappresenta. E con essa rinuncia al coraggio di andare a scovare le ingiustizie dove gli altri vedono solo stravaganze

di Mattia Santori, consigliere comunale Pd


Ore 9 del mattino, zona Roveri, Bologna. In un paese normale non vi sarebbe nulla di anomalo nella visita di 25 consiglieri comunali a uno stabilimento che produce cannabidiolo, in Italia invece si sta per compiere un fatto storico. Sembra assurdo, infatti, ma è la prima volta da quando è nato il settore della cosiddetta “cannabis light” che a presentarsi alle porte di un’impresa che produce infiorescenze di Cbd è la politica, nella sua veste più formale.

Luigi Dordei e Carlo Alberto Mori

L’ultima volta che qualcuno aveva suonato al campanello dell’azienda fondata da Luigi Dordei e Carlo Alberto Mori era il febbraio di questo stesso anno, quando tredici tra carabinieri, forestali, Asl e Crea sono piombati nello stabilimento per effettuare controlli che si sono tradotti nella chiusura “preventiva” dell’azienda per tre mesi, con una perdita di fatturato di decine di migliaia di euro, e un racconto mediatico che ha intaccato la credibilità professionale e umana di due giovani e onesti imprenditori.

Da quei controlli non è emerso nessun illecito, solo la consapevolezza amara che il capitale investito ci impiegherà di più a essere ripagato. Oggi invece qualcosa è cambiato. La politica bussa e chiede di capire, perché a questo servono le udienze conoscitive previste dal regolamento del Consiglio Comunale di Bologna. Servono anche a fare luce laddove spesso l’ombra apre varchi all’ignoranza.

A proposito di ignoranza, all’appello mancano tutti e cinque i consiglieri di Fratelli d’Italia, mentre i rappresentanti di Lega e Forza Italia ci sono, e capiscono subito che non si tratta di una boutade di Santori, né di una trappola.

L’impresa è reale, i macchinari pure, così come le spese per le bollette e gli investimenti di due persone in carne e ossa. Qui non ci sono fricchettoni o narcotrafficanti, qui c’è gente che si è buttata in un settore dal forte potenziale e ne ha fatto un lavoro, un’impresa, una competenza data da un’esperienza che ci invidiano ovunque. Perché fino a prima che perdessimo la guerra l’Italia era il secondo produttore di canapa dopo la Russia, e il primo per qualità. Nel 2023 invece le ideologie sono talmente prevalenti che ci sono consiglieri comunali che provano imbarazzo a conoscere produttori di cannabis e governi che fanno di tutto per chiudere un settore del made in Italy che tra il 2017 al 2020 portava a spasso tutta Europa.

Quante persone in Italia sanno che il Cbd e il Thc sono principi attivi del tutto diversi? Quante persone sanno che il Cbd non ha effetti stupefacenti e che anzi ha proprietà antiepilettiche, antinfiammatorie e antidolorifiche? Quanti di noi sanno che il consumatore medio di Cbd ha ben oltre 30 anni? Purtroppo poche. E se non intraprendiamo una campagna culturale dal basso saremo sempre schiavi degli slogan falsi e altisonanti. «La droga è tutta uguale»: falso. «Il Cbd porta i giovani sulla cattiva strada»: non è vero. «Tutta la cannabis è stupefacente»: assolutamente no.

Quella che stiamo conducendo per tutelare il settore della Cbd non è una battaglia antiproibizionista, ma una campagna di buon senso, nel confronto di imprenditori che producono una sostanza che non ha alcuna differenza dalla caffeina, anzi sì: la caffeina, al contrario del cannabidiolo, produce dipendenza.

E allora bisogna fare un plauso a chi oggi ci ha ospitato, a maggior ragione in un momento storico in cui se produci cannabis è meglio nascondersi che esporsi. E un plauso va fatto anche a quei consiglieri che si sono messi in gioco, immagazzinando informazioni di cui non erano in possesso, sapendo che queste informazioni avrebbero potuto crepare le certezze che a volte tendiamo a credere inattaccabili.

Il dubbio è una virtù scomoda, ma se la politica non si pone dei dubbi rinuncia alla sua principale missione di analisi della società che rappresenta. E con essa rinuncia al coraggio di andare a scovare le ingiustizie dove gli altri vedono solo stravaganze.


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