La dottoressa di base Barbara Benassi, vice segretaria provinciale Fimmg, e la dottoressa Cristina Farina della Farmacia Salus dicono la loro sulle criticità del sistema sanitario, a cominciare dalle liste d’attesa, che mettono sempre più a rischio il diritto alla salute dei cittadini
di Barbara Beghelli, giornalista
Cup: vengo anch’io, no tu no. Scomodiamo perfino l’anima bella di Enzo Iannacci, già chirurgo e poeta della musica, per affermare platealmente che, sì, è sempre più un’impresa titanica trovare un posto per fare esami e visite specialistiche attraverso il Centro Unico di Prenotazione, il sistema centralizzato informatizzato di prenotazione delle prestazioni sanitarie deputato a gestire con efficienza l’intera offerta (Ssn, regime convenzionato, libera professione intramoenia) e strutturare in modo organizzato l’attività per l’erogazione delle prestazioni.
Nel 90% dei casi infatti, di questi tempi, la risposta sconsolata e anche un po’ imbarazzata del farmacista al richiedente è: «Mi dispiace, non c’è posto». Ma perché? «Perché no, l’agenda non dà disponibilità».
Ora, considerando che una visita privata costa come minimo 70 euro contro i 23 di ticket che solitamente si pagano per farla nel pubblico (massimo 36,15 su altre prestazioni a impegnativa), e che una radiografia costa molto di più (non parliamo di esami specialistici che spesso superano i 150 euro), cosa si può fare per non far morire di sconforto i pazienti che necessitano di accertamenti? Semplice: basta rivolgersi a una struttura convenzionata Ssn, che è una sanità pubblica con tutti quanti i doveri del pubblico, con la differenza che la proprietà è del privato. Qui si ha la possibilità di accedere ad esami e visite tramite il solo pagamento ticket sanitario, se dovuto, oppure in totale esenzione. Il problema nel problema, però, è che spesso non c’è posto neanche nel convenzionato.
Così chi può “sceglie” il privato e chi non può… si attacca al tram, come si dice a Bologna. Ecco, allora, verrebbe da dire che stiamo andando verso il tram in tanti. È normale? No, non lo è. Eppure la sanità pubblica dell’Emilia-Romagna è un’eccellenza, così però diventa impossibile andare avanti, senza contare gli intoppi nei vari Ps.
Che ne pensa il medico di base, è presto detto. La dottoressa di base Barbara Benassi, vice segretaria provinciale Fimmg (sindacato prioritario mmg, medici di medicina generale), non ha dubbi: conferma le rare chances odierne di reperire un posto per accertamenti sanitari nel pubblico: «Che io sappia attualmente ci sono possibilità tra circa tre-quattro mesi; in alternativa bisogna rivolgersi al privato».
Purtroppo, par di capire, la situazione delle liste di attesa tenderà a peggiorare e il Cup sarà obbligato sempre di più ad attuare le famose “prese in carico” e tenere così i pazienti in stand by. «È così, sì, e questa situazione peggiorerà ancor più il rapporto fiduciario medico-paziente, anche perché ci saranno sempre più richieste di prescrizioni urgenti che purtroppo il medico non sarà in grado di evadere».
Ma ci dovrà pur essere un modo per uscire da questa assurda situazione? Spiega la dottoressa Benassi che «bisognerebbe probabilmente aumentare l’offerta accreditando più centri con personale specializzato e inoltre ogni specialista dovrebbe prescrivere direttamente, per esempio la visita di controllo accedendo a liste create ad hoc».
Opinione in linea anche quella della dottoressa Cristina Farina della Farmacia Salus di Casalecchio. Conferma che negli ultimi anni la situazione è lentamente e progressivamente peggiorata, anche a causa Covid: in questo momento «visite specialistiche ed esami strumentali sono difficilmente reperibili, o comunque in molti casi è difficoltoso raggiungere le strutture in cui (a volte) si trova posto», in quanto molto lontano dalla residenza dell’utente. Per questo «consigliamo di mettersi in lista d’attesa, dove il sistema dà questa possibilità». La possibilità della presa in carico esiste e viene poi gestita direttamente dall’Asl, ma «abbiamo parecchi clienti che attendono risposte da mesi…».
La morale? Non ci resta che tentare ogni tanto la sorte attraverso i punti Cup o il fascicolo sanitario, per chi ha dimestichezza col digitale, e sperare che si aprano le problematiche agende. Ma se continuano i tagli alla sanità «sarà sicuramente sempre peggio». Come risolvere la problematica? Servirebbe certo «un maggiore controllo sugli sprechi nella sanità pubblica, che da sempre avvengono, e investire di più sulla medicina di base”.
Utilissima analisi problema drammatico
quando la conclusione è ” bisogna accreditare più strutture ( private, ndr ) ” è l’ammissione che il servizio ( non sistema ) di diritto pubblico è stato annientato o che l’intento di chi risponde corre verso quel risultato, inutilmente visto che è già stato raggiunto.
Quindi il problema da risolvere è: come eliminare le liste d’attesa del privato accreditato?
Si chiama ABC, ovvero partire dal probema di base: eliminare il numero chiuso per l’accesso alle facoltà universitarie sanitarie e in seconda battuta, ma necessaria, ridurre od eliminare l’imbuto formativo, che è cosa diversa dal numero chiuso.
Chi non mette questa partenza fa solo propaganda ( o solo chiacchere ).
Antonio Madera
Purtroppo è una conferma di quel che accade da tempo. E le assicurazioni private, non essendo enti mutualistici né di beneficenza, reagiscono all’aumentare numero di richieste di rimborso alzando le franchigie (la quota a carico dell’assistito) e/o riducendo il massimo rimborsabile annualmente. Curarsi diventa sempre più una tassa occulta pur pagando le tasse che dovrebbero includere anche il ssn.
E’ giusto quello che dice Paolo ma attenzione a non confondere le polizze assicurative stipulate privatamente ( o attraverso il datore di lavoro che la propone nel contratto libero-professionale ) con le Casse sanitarie integrative cui il lavoratore viene iscritto con decisione unilaterale del datore di lavoro, il cd welfare aziendale dove è il servizio sanitario regionale a pagare la prestazione erogata dal privato accreditato e la Cassa spesso rimborsa il ticket all’assistito.
Questo produce sottrazione di prestazioni al ” pubblico ” ed aumento dei costi collettivi, oltre a creare diseguaglianze anche tra gli stessi lavoratori a seconda del contratto che hanno, a tempo indeterminato o determinato.
Le Casse non sono assicurazioni.