Stiamo equivocando sul concetto di longevità. Che non significa stabilire dei record ma vivere meglio, il più a lungo possibile. Pure lei sente il peso degli acciacchi però non può chiedere il braccio a una badante né girare con l’ausilio del deambulatore. È come quel comunicato di qualche anno fa del Comune: la prossima emergenza sociale, e ci stiamo arrivando, è la mancanza di ascensori in centro. La Garisenda ne ha viste di tutti i colori, ma non ha mai incontrato un ascensore
di Luca Corsolini, giornalista
Passi lì con curiosità, con quel sentimento di mancanza che già proviamo tutti: non per un esagerato senso di prospettiva, in fin dei conti i piani di sgombero sono una precauzione – dovuta – non l’annuncio di un collasso immediato, ma perché l’affetto è costruito sulla presenza, non sull’assenza. Passi lì sotto come sempre: a piedi. Nessuna pretesa di insegnare agli altri, semplicemente una scelta, forse persino egoistica: basta auto, si cammina, si sale sull’alta velocità, si chiama un taxi, si prende un autobus.
Lei, la Garisenda, è un po’ come noi: invecchiamo non bene, stiamo equivocando sul concetto di longevità. Che non significa stabilire dei record ma vivere meglio, il più a lungo possibile. Lei, ripeto, è come noi: sente il peso degli acciacchi, però non può chiedere il braccio a una badante, non può girare con l’ausilio del deambulatore. È come quel comunicato di qualche anno fa del Comune: la prossima emergenza sociale, e ci stiamo arrivando in modo persino spettacolare, è la mancanza di ascensori in centro. La Garisenda ne ha viste di tutti i colori, ma non ha mai incontrato un ascensore: è come un umarell che si accartoccia guardando gli Asinelli e la città.
Ognuno, è giusto, e persino bello, dice la sua: in questo la Garisenda si ri-prende il ruolo da protagonista della vita cittadina. Ma nessuno riesce a venire a patti con quella distanza e quell’assenza: troppo difficile, e doloroso, pensare al nuovo, non ci siamo abituati.
Un po’di tempo fa, sembra anni luce fa, invece non sono passati neanche venti anni, solo quindici, quando si trattava di lanciare l’Alta Velocità la presentarono come una rivoluzione legata appunto al tempo di trasferimento, per noi, da Milano a Bologna e viceversa. Con un’ora appena abbondante di treno ci fu chi rinunciò subito alla casa a Milano per diventare pendolare, anzi commuter, definizione più adatta a chi sale sul Frecciarossa (o su Italo) senza i disagi di chi frequenta i treni locali: noi ci sedevamo per cena, e dicevamo buon appetito a colleghi ancora imbruttiti in fila sulle tangenziali. Ma la vera rivoluzione non era la velocità, era la frequenza dei treni (e peccato che ancor oggi l’ultimo treno parte da Milano alle 20.10): non per niente il servizio, una vera eccellenza che ci invidia tutto il mondo, fu definito la metropolitana d’Italia.
Viene in mente quello slogan, adesso che nel dibattito generale la Garisenda impone scelte, schieramenti anche. I bus doppi, che certo con i loro inchini non hanno omaggiato nel vero senso della parola la Grande Malata, sono stati spostati altrove. È come nascondere la polvere sotto il tappeto. Avremmo bisogno, piuttosto, di una metropolitana cittadina, e senza ammiccamenti al tram che verrà: ci servono oggi, oltre tutto con i tempi della città cambiati, con la mappa che si è allargata alle periferie, bus più piccoli e frequenti, navette insomma.
Ma il paradosso tra quello che avrebbe un senso e quello che pretendiamo è fotografato proprio dalle dimensioni di un servizio. Per il parcheggio Tanari, il classico parcheggio scambiatore per chi non può, o non vuole portare l’auto in centro, dovrebbe servire un bus doppio tanto il servizio dovrebbe risultare conveniente. Invece basta una navetta: chi può, si avvicina al centro in auto, sfida la Ztl, pensa magari di dimostrarsi così fidanzato con la Garisenda. Invece è stalking: speriamo solo che finisca meglio delle storie di questo tipo.
Photo credits: Ansa.it
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