Alla Biblioteca delle donne di via del Piombo, dal 17 al 19 novembre, tre giorni di confronto laboratoriale con la grande saggista e attivista femminista
di Sara Papini, operatrice della comunicazione
Lea Melandri ritorna alla Biblioteca delle donne di Bologna con due appuntamenti imperdibili. Il 17 novembre con la presentazione del libro Come nasce il sogno d’amore e il 18 e 19 novembre con il laboratorio di scrittura di esperienza (qui). Un momento unico, necessario e in continuità con una lunga rivoluzione quello del prossimo fine settimana tra le mura di Santa Cristina. Lo dico con grande trasporto, avendo avuto la fortuna di poter partecipare allo scorso laboratorio, avvenuto nel mese di aprile all’Ateliersì.

Mi sembrava importante, quindi, dare spazio e parola per spiegare quello che accadrà a Anna Papa e Giulia Melis, studiose transfemministe e organizzatrici della tre giorni insieme a Melandri e Anna Pramstrahler, responsabile della Biblioteca delle donne.
È stato proprio parlando dello scorso laboratorio che io e Lea abbiamo iniziato il nostro dialogo: «Nel bellissimo laboratorio di scrittura di esperienza di aprile sono state felice di trovare molte giovani donne tra i 20 e 30 anni, accordatesi col passaparola – mi dice Melandri – Avevano grande consapevolezza di tutte le questioni che sono al centro del mio percorso di femminismo ma mancava a loro l’esperienza di una pratica collettiva, a partire da quello che noi chiamavamo il sé, ovvero tutto ciò che è rimasto storicamente sepolto nella vita personale. Come dicevamo negli anni ’70 il personale è politico, e nella vita personale appunto c’è un archivio di storia millenaria che riguarda in particolare il rapporto tra i sessi e in generale tutte le problematiche legate al corpo, alla sessualità, alla maternità e alla vita affettiva. La sorpresa e la felicità di quel laboratorio è stata vedere l’entusiasmo con cui queste giovani rivivevano quello che, negli anni ’80, è stata la nostra rivoluzione: la possibilità di s-privatizzare tutto ciò che era stato confinato nel sé più nascosto e più impresentabile. Alcune di loro si sono impegnate nuovamente per organizzare un altro laboratorio, questa volta insieme alla Biblioteca delle donne e questo mi fa enorme piacere».
Il laboratorio è «sia “formazione personale” sia apprendimento di una pratica». Lea Melandri lo definisce in questo modo perché è un vero e proprio agire che produce un cambiamento di sé, aiutando a «uscire dalla solitudine e dalla chiusura, da vissuti dolorosi che spesso facciamo anche fatica a raccontare a noi stesse». La modalità in cui si muove è quella della scrittura sviluppata per frammenti: «È stato per me un modo per dare seguito alle pratiche di autocoscienza. Attraverso questi frammenti, che non sono altro che schegge, noi andiamo a estrapolare dei pezzi dai libri e dai testi che leggiamo. Questo atto smuove in noi qualcosa, fa affiorare ricordi tratti dalla nostra storia personale. E così il privato diventa collettivo». Ciononostante, nel laboratorio «non si producono autobiografie, né scopriamo scritture creative. L’autobiografia costruisce già un senso e uno sviluppo lineare e questo è molto ricercato e desiderato dalle donne, ma la mia pratica va in un senso contrario, decentralizzando il modo con cui ci siamo raccontate o come vorremmo raccontarci».
Le parole di Lea e il ricordo dell’esperienza del laboratorio risuonano in me mentre parlo con Anna Papa e Giulia Melis, che mi spiegano com’è nata l’idea di riorganizzare a Bologna giornate di laboratorio di memoria del corpo e scrittura di esperienza. Per Anna Papa, che ha partecipato anche all’iniziativa di aprile, «la pratica proposta da Lea, pensata in continuità con le pratiche anomale e rivoluzionarie dell’autocoscienza e dell’inconscio degli anni ’70, era arrivata a noi a partire da studi e letture ma rappresentava, di fatto, qualcosa che ci mancava in termini di esperienza o, più precisamente, qualcosa che muoveva in noi una “nostalgia”, pur non avendola mai eseguita in questa modalità. Stando in quello spazio di “coscientizzazione”, presenti com’eravamo coi nostri corpi, i nostri vissuti, i nostri rimossi, col nostro ascolto e la nostra parola, con tutta la nostra esperienza nominabile e non, abbiamo compreso molto di più di quella pratica che Lea chiama scrittura di esperienza e che propone di recuperare – laddove è possibile – ma non di unire, non è autobiografica né privata: è personale, e per questo profondamente politica. Distrugge il senso, accoglie la confusione e così facendo fa lavorare su sé e si condivide. Raccolti tutti gli entusiasmi nostri e delle altre persone iscritte al laboratorio, abbiamo maturato il desiderio di ripetere questa esperienza. La scelta di rifarlo il 18 e il 19 novembre al Centro delle donne di Bologna (in via del Piombo 5, ndr) è nata dal felice incontro con Anna Pramstrahler».
Secondo Giulia Melis, a incidere è stata «l’urgenza di un momento di confronto collettivo con l’altra che, a partire dalla rivelazione delle emozioni più intime con le compagne di un piccolo gruppo, permettesse a noi tutte di ripartire dall’interiorità e dal “privato” per gettare le basi di un cambiamento sociale e politico. Ciò che è emerso dal laboratorio di aprile è che la pratica dell’ autocoscienza, in questo caso particolare della scrittura di esperienza, è ben lungi dall’essere relegata ai tempi in cui è nata. Credo che l’impressione condivisa da tutte le partecipanti sia stata più o meno questa: per quanto emotivamente e fisicamente provante, è possibile concettualizzare e scoprire la propria soggettività attraverso i racconti e i pensieri dell’altra». Per questa tre giorni al Centro delle donne, le organizzatrici hanno pensato di collegare la presentazione del libro Come nasce il sogno d’amore, del 17 novembre, alle due giornate di laboratorio. All’interno del libro, recentemente ristampato, l’autrice lavora a esplorare il terreno dei sentimenti e a interrogare il concetto di amore interiorizzato dal soggetto femminile come condizione di passività e di immobilismo: «Nello scorso laboratorio, i temi più sviscerati sono stati l’amore, l’oggettificazione, il difficile rapporto con il “maschile” e il rapporto madre-figlia: tutto questo ha a che fare anche con l’amore. Ne parliamo abbastanza? Ne sappiamo abbastanza? Sono domande che ci poniamo spesso e il laboratorio ha senz’altro aumentato il tono di questi interrogativi. Forse dovremmo ripartire da lì. Con questo secondo progetto vorremmo almeno provarci».
Infine, il mio ultimo confronto è proprio con Anna Pramstrahler della Biblioteca delle donne, che mi parla del rapporto ormai longevo con Lea Melandri: «Sono quasi 40 anni, almeno dal 1987. Eventi pubblici, convegni, seminari, assemblee, corsi di formazione tra cui il corso transdisciplinare di genere attivo in questo momento sono stati momenti di crescita e confronto. Anche a rivista Lapis, fondata da Melandri nell’87, è stata un momento di crescita collettiva del movimento femminista italiano. Per noi è quindi un grande onore continuare questa lunga collaborazione con Lea di cui, dalle numerosissime richieste di partecipazione al laboratorio arrivate in queste settimane alla Biblioteca, vediamo il grande seguito in tutta l’Italia».
In copertina: un momento del laboratorio dello scorso aprile all’Ateliersì