Delfino Insolera, un innovatore

Ricordo a cento anni dalla nascita. Non fu semplicemente un divulgatore scientifico, fu direttore editoriale della Zanichelli e presidente della Fondazione Villa Ghigi

di Giorgio Forni, notaio


Il 6 aprile scorso è stato l’anniversario dei cento anni dalla nascita di Delfino Insolera e purtroppo, anche a causa del Covid 19 che ha impedito lo svolgersi di alcune manifestazioni in sua memoria, è passato in silenzio. Difficile definire la personalità multiforme di un uomo come Delfino Insolera, spesso banalmente definito (come peraltro a lui piaceva considerarsi) divulgatore scientifico. Laureato in ingegneria a Roma nel 1943 e poi in filosofia a Milano nel 1951, dopo alcune esperienze alla Siemens ed alla Olivetti nel 1960 entrò alla Zanichelli di cui fu direttore editoriale dal 1960 al 1970 continuando la sua collaborazione con la casa editrice come consulente fino alla sua morte avvenuta il 23 dicembre1987.

Gli anni della Zanichelli dopo l’arrivo di Insolera furono anni nei quali la sua spinta innovativa trovò un terreno fertile pronto a trasformarsi in un centro di lavoro e di creazione collettiva di importanza tale da modificare profondamente non solo lo stile della Casa Editrice, ma il modo stesso dell’insegnamento finalizzato principalmente a introdurre in Italia una cultura scientifica nella scuola. Peraltro se la scienza rimase il suo principale mondo di elezione, non minore fu il suo contributo in altri campi quali la innovativa collana di narrativa per la scuola media con guide alla lettura che introdussero metodi di analisi strutturale delle opere. La sua personalità e la sua forte impronta fu tale da rivoluzionare non solo il mondo della didattica all’interno della casa editrice, ma a livello nazionale.

Ma chi era Delfino Insolera? Ho avuto la fortuna ed il privilegio di conoscerlo e di essergli amico negli ultimi anni della sua vita, nei quali, nella veste di Presidente della Fondazione Villa Ghigi diede la sua forte impronta anche nel campo della didattica naturalistica ed ambientale creando quel centro di eccellenza, polmone verde della nostra città e così amato dai bolognesi che lì si sono educati ad amare, conoscere e rispettare la natura ed i suoi abitanti.

Non aveva carattere facile, ed il suo rigore morale e culturale non ammetteva cedimenti così che al primo approccio spesso risultava sgradevole apparendo falsamente dogmatico, cosa ben lontana dalla sua vera indole profondamente dialettica, e rinchiuso in una apparente durezza che in un rapporto più intimo e sereno poteva trasformarsi in garbo e tenerezza. Mi ricordo la prima volta che venne nel mio giardino di cui andavo molto orgoglioso. Ci eravamo appena conosciuti e mi raggelò criticandone l’impostazione e molte specie arboree, fra le quali alcune robinie rosse delle quali andavo molto fiero, perché non autoctone.

Capii poi che aveva ragione e dal suo primo impulso è derivata una mia radicale rivisitazione del mio rapporto con le specie botaniche ed il loro inserimento nell’ambiente ed una diversa impostazione del giardino. E così quando per alleggerire l’imbarazzo passai dalla botanica alla musica, ahimè ci scontrammo su Verdi da me molto amato e che a suo parere era autore di marcette e valzerini e troppo cedevole ai sentimenti, per ritrovarci fortunatamente uniti e concordi su Bach e soprattutto sulla musica medioevale e sulla poesia trobadorica della quale era grande appassionato ed esperto e raffinato conoscitore e sulla quale si consolidò la nostra amicizia.

La sua profonda conoscenza della geologia, una delle sue non poche passioni, lo portò a studiare e ad amare il territorio collinare bolognese che esplorava unendo il piacere del paesaggio all’analisi della conformazione morfologica del terreno. In un suo scritto che appunto con il titolo “passeggiata geomorfologica” è stato recentemente pubblicato nel sito della Fondazione Villa Ghigi e del quale consiglio vivamente la lettura, partendo dall’alto della torre degli Asinelli spazia con un linguaggio di raffinata qualità letteraria in un affascinante percorso collinare da Gaibola a Sasso Marconi. Goethe visitò i calanchi di Bologna e gli strani minerali tanto amati da Delfino che lo cita nello scritto indicato, e la cosa mi ha colpito in quanto da sempre me lo sono raffigurato un po’ come un novello Goethe a zonzo fra calanchi e Contrafforte Pliocenico unendo l’amore per l’approfondimento, la sistematicità e la didattica scientifica a quello per la filosofia, la poesia, la letteratura.

Delfino Insolera prende appunti nel Parco Villa Ghigi (1986). Credits: Mino Petazzini

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