Il regionalismo differenziato è indispensabile

Per realizzare la Regione del futuro bisogna prima chiedersi che cosa si vorrebbe che fosse, altrimenti si rischierebbe di ritornare a ciò che hanno proposto le regioni nel passato, specie il Veneto e la Lombardia: un elenco di funzioni e compiti amministrativi aggiuntivi, tali da giustificare una richiesta di maggiore finanziamento e nulla più. La proposta dell’Emilia-Romagna era diversa, più “pensata”. In questa direzione bisognerebbe ora proseguire, con coraggio. Ma soprattutto con un progetto

di Roberto Bin, costituzionalista


L’articolo della presidente dell’Assemblea regionale, Emma Petitti (“La regione ha 50 anni, ora il regionalismo differenziato”) , ripropone il regionalismo differenziato. In un periodo che richiede grandi sforzi progettuali per rilanciare il Paese, l’argomento va riproposto con forza, ma va anche ripensato. Quello che serve è la progettualità, tema così caro a questo giornale. Che cosa deve essere la Regione del futuro? Senza una risposta a questa domanda il regionalismo differenziato rischia di ritornare a essere ciò che hanno proposto le regioni nel passato, specie il Veneto e la Lombardia: un elenco di funzioni e compiti amministrativi aggiuntivi, tali da giustificare una richiesta di maggiore finanziamento e nulla più. La proposta dell’Emilia-Romagna era diversa, più “pensata”. In questa direzione bisognerebbe ora proseguire, con coraggio. Ma soprattutto con un progetto.

Perché partire da un progetto? Perché è quello che è mancato da molti anni nella politica italiana e in quella delle regioni, compresse negli schemi asfissianti della crisi finanziaria e in una gabbia burocratica dominata dai funzionari del Ministero dell’economia e della finanza. Ma avere un progetto significa elaborarlo senza tarpargli le ali fin dall’inizio, preoccupandosi dei poteri e dei vincoli attuali. L’art. 116.3, le «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» che esso consente, non possono ridursi alla rivendicazione di un parere, di una competenza amministrativa o di un controllo (il desiderio di tutti di una forte semplificazione amministrativa spinge proprio nel senso di ridurre tutta questa sovrastruttura burocratica, non a portarla negli uffici regionali). Vogliamo delle città e una regione “ecosostenibili”? Vogliamo puntare sulla motor valley? Vogliamo potenziare “una città cognitiva che guarda a tutti e va avanti”, come propone Romano Prodi? Allora la domanda da cui partire è una sola: chi ce lo impedisce?

È così che vedo il “regionalismo differenziato”. La Regione si crea un’immagine del proprio sviluppo e traccia gli schemi strategici per realizzarla. A quel punto si scoprirà che ciò che manca non sono né le competenze amministrative né i soldi, o almeno, non solo loro. Il problema sono gli ostacoli contrapposti da controlli, impugnazioni, decisioni della Corte costituzionale che bloccano l’esercizio di competenze che forse ci sono e forse no: cosa si può e cosa non si può fare lo sapremo fra 3-4 anni, quando la Corte costituzionale lo deciderà, all’80% dando torto alla Regione. Così non si può realizzare nulla, i progetti resteranno nei cassetti. Si può realizzare qualcuno dei progetti senza toccare i nodi (intricatissimi dal punto di vista delle competenze) della formazione professionale, della politica del territorio e dei trasporti, della tutela ambientale rafforzata, dello sviluppo della ricerca nelle università e altrove? Regionalismo differenziato significa allora essenzialmente questo: possibilità di derogare alle attuali barriere (fatte di vincoli, limiti, ostacoli, obblighi ecc.) in nome dell’interesse comune a realizzare il progetto.

Emma Petitti finisce il suo intervento con parole perfette: «Il regionalismo dovrà valorizzare al massimo il principio della “leale cooperazione istituzionale”». È questa la premessa e il segreto del regionalismo differenziato. I progetti si realizzano assieme, Stato, Regione e autonomie locali. Un comune tavolo di lavoro individua le modalità per realizzarli, i modi per “blindarne” l’attuazione e di verificare i risultati: il che significa che il Governo e la Regione, nel patto che devono stringere e che verrà approvato dal Parlamento con una legge “rafforzata” (che cioè non potrà essere cambiata o derogata dalle leggi successive), fissano le procedure, le competenze, le verifiche, i finanziamenti… tutto ciò che garantisca che il progetto non finisca nel solito cassetto.


Rispondi