5G, la mossa arretrata della sindaca Conti

San Lazzaro ha bloccato l’installazione delle antenne “per l’assenza di studi scientifici sui possibili effetti per la salute” che in realtà ci sono e parlano di limiti di esposizione tranquillizzanti. Una scelta che fra l’altro aumenta un’arretratezza che si è vista durante il lockdown. Bene ha fatto Bologna a istituire una tavolo metropolitano che mette a confronto scienziati, medici, operatori e comitati. A ottobre il responso 

di Michele Pompei, cittadino


In questi ultimi anni il dibattito attorno al rapporto tra scienza/ricerca e istituzioni ha mostrato come la politica e la magistratura abbiano spesso faticato a prendere decisioni capaci di attenersi rigorosamente all’evidenza scientifica. Più di quella, è parsa prevalere la volontà di assecondare la pressione esercitata da gruppi di opinione o dal parere di singoli individui, chiamati a fare da consulenti e consiglieri sulle più disparate questioni. 

Tra queste possiamo citare la coltivazione e la distribuzione degli Ogm in Italia, la diffusione della Xylella in Puglia o più recentemente i piani di passaggio dalla attuale rete 4G a quella di generazione successiva, la 5G.

È su questo ultimo argomento che vorrei soffermarmi, considerando che sono già 500 i comuni italiani che hanno congelato questo passaggio facendo appello ai principi di precauzione che suggerirebbero ulteriori approfondimenti sulla potenziale nocività di questi impianti, prima di procedere alla installazione.

Tra questi c’è anche quello di San Lazzaro, che per volontà della sua prima cittadina, Isabella Conti, lo scorso ottobre ha deciso di non autorizzare l’installazione di antenne 5G, sostenendo che “come amministratori non possiamo chiudere gli occhi davanti all’assenza di studi scientifici sui possibili effetti per la salute”.

Un paio di premesse.

1. Secondo il Digital Economy and Society Index, che valuta i paesi membri per il proprio livello di digitalizzazione in relazione a quattro ambiti (Connettività, Capitale Umano, Uso dei servizi Internet, Integrazione delle tecnologie digitali e Servizi pubblici digitali), l’Italia si colloca al venticinquesimo posto sulla totalità dei 28 paesi membri (lo studio, basato sui dati del 2019, include nel campione anche il Regno Unito).

2. In queste condizioni di arretratezza abbiamo affrontato i mesi di lockdown durante i quali l’efficienza di questo settore è stata di capitale importanza per garantire (o non garantire) la continuità di servizi e relazioni. Continuità minata e limitata proprio dal divario che ci separa dagli altri paesi europei e che separa il nostro stesso territorio tra zone ben servite e altre dove anche la sola semplice connessione rimane un miraggio.

Chi prende la decisione di bloccare questa nuova tecnologia, dovrebbe anche assumersi la responsabilità di un ulteriore (e sempre meno sostenibile) aumento di un ritardo tecnologico e infrastrutturale che, mai come oggi, sarebbe impossibile da sostenere, procurando danni all’intera comunità e soprattutto alle sue fasce più deboli. Deve anche prendersi la responsabilità di pagare eventuali penali che i concessionari potrebbero a buon diritto reclamare, considerando gli investimenti già fatti.

Detto questo, affrontiamo il nocciolo del problema, limitandoci alla decisione della sindaca Isabella Conti e dalle motivazioni da lei addotte. Da cittadino interessato alla divulgazione scientifica basata solo ed esclusivamente su un corretto uso e un’altrettanto corretta selezione delle fonti, sarebbe bello potersi confrontare, anche in pubblico, su alcune questioni.

La prima riguarda banalmente la natura degli impianti 5G, le frequenze che dovrebbe utilizzare e le differenze tra il 5G e gli impianti 4G attualmente in uso. La sindaca Conti (o chi l’ha consigliata) possiede queste indispensabili conoscenze?

Senza dimenticare di dire che parliamo  di radiazioni NON ionizzanti. Quelle ionizzanti, ad altissima frequenza, quelle fortemente cancerogene per capirci, sono gli ultravioletti, i raggi X e quelli Gamma, che si trovano esattamente dalla parte opposta dello spettro del visibile.

Sarebbe utile ricordare quali sono le normative vigenti in ambito internazionale e nazionale che regolano la materia. Per esempio, la  Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti (Icnirp), su indicazione dell’Oms, ha stabilito un limite di 61 volt per metro, ma in Italia (ogni paese decide per sé), per legge, questo limite è dieci volte più basso. Ed è in questo rigido scenario normativo che i fornitori di tecnologia sono obbligati a muoversi.

Alla sindaca Conti e a chi teme che il 5G possa fare più danni del 4G ricordiamo anche che esiste un valore Sar (acronimo di Specific Absorption Rate) che indica la quantità di energia elettromagnetica assorbita dal corpo umano per unità di massa. La quantità è di 2 watt per kg e serve a evitare che la temperatura del nostro corpo aumenti più di un grado celsius a contatto con una fonte di radio frequenze. Ma in questo caso spiace dire che il problema non è tanto il calore generato dagli impianti, ma quello prodotto principalmente dai nostri cellulari, che sono allo stesso tempo piccoli impianti di trasmissione e di ricezione, il cui surriscaldamento durante l’uso ci è ben noto da decenni.

C’è poi l’affermazione della sindaca Conti riguardo all’ ‘’assenza di studi scientifici sui possibili effetti per la salute”. È vero? Proviamo a vedere.

Premesso che non è ovviamente possibile avere dati su una tecnologia che non è ancora in uso, è vero che sul 4G e le generazioni precedenti sia assolutamente scorretto sostenere che via sia assenza di studi scientifici.

Basta consultare gli archivi dello Iaarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) ( https://www.iarc.fr/wp-content/uploads/2018/07/pr208_E.pdf) e vedere il numero di studi citati (e dunque eseguiti) su questo tema. 

Così come è possibile trovare documenti dell’Istituto Superiore di Sanità ( http://old.iss.it/binary/publ/cont/19_11_web.pdf) che si occupano di fornire dati sul rapporto tra radio frequenze e insorgenza di tumori. 

Non ci soffermiamo invece sui dati forniti dall’Istituto Ramazzini (che per correttezza, ricordiamo non è formalmente riconosciuto come istituto di ricerca, ma è in realtà una cooperativa sociale Onlus, fondata a Bologna nel 1987), perché i suoi studi sulla correlazione tra l’esposizione alle radiazioni delle radiofrequenze e l’insorgere di alcuni tipi di tumore, presentati nel 2018, non hanno ricevuto la necessaria validazione da parte della comunità scientifica internazionale. Dunque, per il momento è bene non utilizzarli come fonte per affermare la pericolosità del 5G (ma anche delle tecnologie che lo precedono, visto che è su quelle che si basano le ricerche del Ramazzini).

In conclusione, chi prende decisioni a nome di un’intera comunità ha il dovere di farlo nella pienezza della conoscenza degli argomenti su cui è chiamato ad esprimersi. La comunità scientifica mette a disposizione, per chi ha la voglia e lo scrupolo di farlo, una più che sufficiente quantità di dati che possono aiutare gli amministratori a fare il loro lavoro con tutto il discernimento necessario e il senso di responsabilità che dovrebbe sempre guidare le loro azioni.

Il comune di Bologna, su questo tema, ha creato un Tavolo metropolitano sul 5G che prevede il confronto tra tutti gli stakeholder, tra cui Asl, Istituto Ramazzini, Comitati cittadini e operatori di telefonia mobile. Per ottobre si attendono i primi risultati di questi confronti.

Questo è sicuramente un approccio apprezzabile.


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