Pd, quo vadis?

Senza il centro la sinistra non vince e se il partito manovra per essere accettato come “pivot”, senza avere ancora indicato una bozza di programma e tacendo sulle alleanze e sul nome del possibile leader, si condanna all’isolamento. Occorre avere lungimiranza per costruire, insieme ad altre forze che hanno valori e programmi meritori, una città metropolitana che sia in grado, come sollecita Romano Prodi, di essere partner di altre città europee e di ogni sponda del Mediterraneo

di Giovanni De Plato, psichiatra e scrittore


Il percorso avviato per l’elaborazione del programma elettorale, la formazione dell’alleanza e l’individuazione del candidato a sindaco di Bologna nel 2021 sembra non avere una scadenza. Se sono annunciati un mese e una data della presentazione, sistematicamente subiscono un rinvio. Tanto nel centrosinistra quanto nel centrodestra. Tanto a livello nazionale quanto a livello locale.

La destra – nonostante che non abbia il problema delle primarie – che ribadisce l’unità dei suoi tre partiti (Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia), che dice di condividere un programma per Bologna, che sceglierà come candidato una personalità esterna, a Bologna non riesce a rispettare le sue promesse. Il centro scende in campo con più formazioni (“Bologna civica” del duo Tonelli-Galletti, “Insieme” annunciata da Stefano Zamagni, “Bottega delle idee” di Filippo Diaco), non si pronuncia se guardano a destra o a sinistra, parlano di valori più che di programmi, convergono solo sull’incompatibilità di un’alleanza con la sinistra radicale. È sperabile che convergano anche sulla condanna di quella destra piazzaiola e di sommossa.

Non meno enigmatico è il percorso del centrosinistra bolognese. Il Pd si è avocato il ruolo di “pivot”, ma ancora non presenta una bozza di programma, tace sulle alleanze e non indica nemmeno il profilo del possibile leader. Tutti gli esponenti politici locali parlano di ascolto degli aderenti, dei simpatizzanti e dei cittadini, ma nessuno si presenta a un confronto pubblico a indicare una linea di aggregazione vincente. Limitando il discorso al Pd si ha l’impressione che una sfida già vinta in partenza questa estate sia divenuta in settembre da lineare a contorta, da contorta a confusa e da confusa a pasticcio. Rendendo così il percorso poco costruttivo, caotico ed esponendosi a un esito incerto nel 2021. Dal clima estivo propositivo il Pd è passato prima ai veti (no a bastardi, no a bastardini e no a predestinati), poi all’applausometro del Festival, poi alla consultazione dei circoli e dei territori, poi alla convocazione dell’assemblea e della direzione provinciali e poi alle indicazioni dei dirigenti nazionali e locali. Un ingenuo direbbe un giusto percorso di democrazia e partecipazione. In realtà dall’esterno appare un vuoto formalismo di procedure infinite, rituali e non decisionali.

Finora si sa che questo lungo percorso di consultazione di qualche migliaio d’iscritti (a proposito quanti sono i tesserati 2020? Quante sono state le presenze negli incontri convocati dal segretario provinciale?) ha espresso a larga maggioranza la convergenza su cinque punti: unità e simbolo del partito, no alle primarie, candidato unitario, alleanza allargata modello Bonaccini delle regionali dello scorso anno.

Quest’ultimo punto fa capire che non è stato preso in considerazione lo scenario attuale del dopo pandemia, cioè della mutazione glocal che sta stravolgendo gli assetti economici, sociali e ambientali. In questo contesto inedito il modello Bonaccini è improponibile. Fu vincente senza il simbolo del partito grazie alla grande apertura ai movimenti della società, in particolare delle 6000 Sardine. Quell’alleanza regionale non è più sufficiente, va allargata oltre i confini della sinistra e della sinistra radicale. Tenendo presente che senza il Centro non si vince. E che il Centro, quello del possibile dialogo con la sinistra, ha dei suoi valori, una sua visione e una sua credibilità in quanto esprime il riformismo in forme moderate e temperate. E che rappresenta l’orientamento al bene comune di una fetta trasversale della società bolognese, cui la sinistra non arriva. E che tende a una società più giusta, cui aspirano quelle persone che hanno un loro pensiero e non si riconoscono nella militanza dei partiti.

Il Pd dovrebbe potenziare il confronto con il Centro e con le altre forze e i movimenti presenti nel sociale, riconoscendo che sono portatori di valori, d’idee, di programmi e di personalità che vanno riconosciute e promosse. In questo sta la grande alleanza, nel pluralismo dei soggetti e nella ricchezza dei contributi. Il Pd se manovra per essere accettato come partito “pivot” si condanna a un triste isolamento, a un’auto rappresentazione irresponsabile, alla solita vergognosa spartizione tra le correnti. Il Pd deve convincersi che occorrono tempestività e lungimiranze per costruire la Città metropolitana di Bologna come città con le sue istituzioni (università, sanità, ricerca, ambiente), partner di altre metropoli dell’Europa, del Mediterraneo, dell’Africa, come da tempo sollecitato da Romano Prodi.


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