Come ridurre la crisi climatica? Bologna ha una certa esperienza

Il progetto Urban CO2 Reduction fu approvato nel febbraio ’95: 14 città nel mondo dovevano dimostrare di essere all’altezza dello sforzo innovativo. La nostra fu accettata perché già nell’85 aveva un Piano Energetico, il BEST, ed emetteva meno emissioni di tutte le altre, ad eccezione di Ankara: un terzo di quelle Usa. Urban CO2 avrebbe ridotto nel 2005 le emissioni dell’8%, in realtà fu un -25% poiché senza Strategia si sarebbe saliti a +17%. Dunque possiamo accettare la sfida: zero emissioni nel 2030

di Simonetta Tunesi, chimica ambientale


L’ambizione dell’Assessore Matteo Lepore di partecipare alla Missione Ue per rendere Bologna Città a Emissioni Zero di Gas Climalteranti al 2030 (“Bologna sia tra le 100 città Ue carbon neutral al 2030) rispecchia i desideri di molti cittadini, giovani e non solo; nel dare il mio contributo al dibattito stimolato dal Cantiere vorrei però sottolineare che gli accenti finora espressi in articoli e commenti non pongono elementi alternativi ma possono essere intrecciati in un’unica trama.

Dal 1992 coordinai il progetto Urban CO2 Reduction approvato in Consiglio Comunale nel febbraio 1995, citato da Ugo Mazza, allora assessore all’Ambiente (Mazza a Lepore: ok emissioni 0 al 2030, ma serve anche il dato di CO2 di oggi). Per chi non ricorda il contesto, sostenere che i cambiamenti climatici fossero causati dalle azioni antropiche era ancora controverso e la necessità di questo impegno non era affatto un sentire condiviso.

brochure finale del progetto Urban CO2 Reduction

Quattordici città nel mondo dovevano dimostrare di essere all’altezza dello sforzo innovativo; Bologna fu accettata perché famosa anche per la capacità di innovazione nella governance e perché già nel 1985 aveva pubblicato un Piano Energetico, il BEST.

Urban CO2 prevedeva l’utilizzo a servizio dell’Amministrazione di strumenti di budgeting ambientale usati fino a quel momento solo a livello universitario e di ricerca (attore coinvolto) per supportare la formulazione di una Strategia Cittadina ampia e complessiva che indicasse nel dettaglio come ridurre le emissioni a scala urbana. 

La Strategia affermava che “è doveroso che le città più sviluppate assumano politiche tese a ridurre” il proprio impatto considerato “l’alto livello di emissione” e che “questa scelta è un atto di solidarietà verso le future generazioni”. Riconosceva che “obiettivi ambiziosi possono essere raggiunti solo grazie a una forte e convinta collaborazione tra Amministrazione Pubblica, associazioni economiche, sociali, ambientali e cittadini, singoli e associati”.

Risultò che nel 1989 ogni bolognese emetteva 6,4 t/CO2 equivalente: meno di noi solo Ankara; le città americane attorno a 20. L’Italia era a 7,5.

Il nostro stile di vita era quindi sì impattante ma caratterizzato già dalle caratteristiche europee di contenimento (metanizzazione; trasporto pubblico; normative energetiche per gli edifici) rispetto agli enormi sprechi della società USA. Permettetemi un ricordo buffo: il coordinatore, mentre passeggiavamo sotto i portici, notò che le matrone bolognesi sfoggiavano pellicce in quantità inconsueta per lui che viveva a Toronto (!) e avanzò l’ipotesi che fosse quello il vero motivo per cui noi avevamo emissioni più basse associate al riscaldamento domestico.

La composizione della strategia fu sostenuta da tecnici dedicati e competenti attivi nei diversi settori dell’Amministrazione e nelle Aziende Pubbliche (allora Acoser, AMIU, ATC); con pragmatismo cercammo di dare rilievo a progetti già decisi rubricandoli sotto la voce ‘riduzione impatti climatici” e proponemmo azioni possibili ma ancora ‘non sentite’ dall’amministrazione, tra cui il telelavoro (suggerito dalla città californiana di San Josè), i semafori intelligenti per favorire il trasporto pubblico. Gli impatti del traffico privato su gomma erano chiarissimi già da allora. Siccome i soldi sono sempre scarsi quando si parla di protezione ambientale, si ragionò anche della ‘invenzione’ di Buoni Comunali per finanziare le iniziative che avrebbero restituito risparmio sulle bollette di tutti gli attori coinvolti.

L’insieme delle azioni avrebbe ridotto nel 2005 le emissioni dell’8%, in realtà fu un -25% poiché senza Strategia si sarebbe saliti a +17%; un impegno governativo ci avrebbe permesso di ridurle a -30%.

Come mai, come estremizzo io quando riassumo quella splendida esperienza, “non si riuscì a cambiare neppure una lampadina”? E a quanto pare neppure a essere ricordati.

Era troppo presto (non per l’ambiente!) e fu difficile coinvolgere gli attori non istituzionali in progetti concreti e duraturi; neppure i cittadini erano pronti a comprendere la necessità di modificare il proprio stile di vita.

Poiché i criteri per essere ammessi ai finanziamenti della Missione 100 Cities pongono le stesse difficoltà incontrate allora, approfondire, con curiosità e orgoglio, pregi e limiti di quell’esperienza di pianificazione potrebbe essere molto utile per preparare l’Application.

Photo credits: Alessandro Cavestro


Un pensiero riguardo “Come ridurre la crisi climatica? Bologna ha una certa esperienza

  1. Aggiungo che nel 1997, quando ero assessora all’ambiente del Comune di Bologna, in occasione della Conferenza mondiale sul clima a Kyoto (dove furono siglati gli obiettivi dell’omonimo Protocollo) ricevetti il Premio di Iclei per il Piano di riduzione della CO2 – Urban Co2 Reduction – aggiornato rispetto a quello del 1995.
    Molta acqua è passata sotto i ponti da allora, e non tutte le misute sono state attuate, a cominciare dal progetto della tramvia che come Giunta Vitali avevamo approvato. Oggi occorre mettere in campo altre misure cogliendo le nuove opportunità tecnologiche ed economiche, come ad esempio il crollo del costo del fotovoltaico. E andare avanti con il progetto del tram, solo per citare due ambiti strategici quali sono le fonti rinnovabili e la mobilità elettrica su ferro. Non è più tempo di rinvii.

    Silvia Zamboni, capogruppo Europa Verde dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna

Rispondi