“antisionismo = antisemitismo”? Bologna è chiamata scegliere

Il sindaco Merola ha scelto di non partecipare all’incontro coi sindaci di importanti città d’Europa che aveva come oggetto la lotta alle forme di ostilità verso gli ebrei. Lo ha fatto dopo la denuncia di 14 associazioni ebraiche secondo cui il meeting di fatto promuove una propaganda che equipara la critica a Israele a un atteggiamento antisemita. Manca la firma, a quest’appello, della comunità ebraica bolognese. Sarebbe importante un suo passo come gesto costruttore di pace

di Caterina Maggi, giornalista


Il sindaco Virginio Merola ha fatto un passo indietro importante. Tocca alla comunità ebraica della Dotta accettare o meno la sfida.

Un’etichetta che sempre più spesso viene allargata per marchiare qualunque voce di dissenso rispetto allo Stato di Israele: l’accusa di antisemitismo ormai divide anche il mondo ebraico, chiamato a scegliere tra difendere un credo e difendere un sopruso.

Ieri il sindaco Virginio Merola ha fatto la sua di scelta, non scontata: non partecipare all’incontro con i sindaci delle maggiori città europee, con oggetto la lotta all’antisemitismo. Che però, denunciano in una lettera aperta quattordici associazioni ebraiche di cui una israeliana, altro non promuove che una propaganda: l’antisionismo sinonimo di antisemitismo.

Nella lista delle comunità ebraiche – sottolineo, ebraiche – che hanno deciso di far sentire la propria voce, perché manca quella che forse più di tutte, in Italia, ha da sempre dimostrato di saper avere un ruolo di mobilitazione incisivo nella comunità di cui fa parte? Perché non c’è nessuna firma italiana su quella lettera, e perché soprattutto non c’è la firma della comunità ebraica di Bologna?

Che il binomio antisionismo = antisemitismo non sia più credibile non è una critica solo degli attivisti di Peace Now o dei giovani attivisti palestinesi in Cisgiordania. È ormai diventato un grido di allarme in seno alla stessa comunità ebraica internazionale e alla stessa Israele.

Soltanto due settimane fa Avraham Burg, ex presidente della Knesset e capo dell’Agenzia Ebraica, rifiutava la cittadinanza ebraica definendosi “ebreo ma non di Israele”. «Non smetterò di sentirmi un ebreo – disse – ma non voglio più far parte della collettività ebraica in Israele, non voglio percepirmi come un privilegiato rispetto ai non ebrei, chiedo di essere un cittadino israeliano e basta». Se il capo dell’agenzia tra le più importanti del mondo ebraico può fare un distinguo, quel distinguo è possibile. Se tante associazioni ebraiche riescono a stabilire un confine tra identità ebraica e stato di Israele, vuol dire che quel confine non è un’invenzione antisemita, ma una proprietà positiva di parte di mondo ebraico che non cancella la Shoah, ma nemmeno è disposto ad appoggiarne un’altra, altrove.

Oggi un sindaco italiano ha fatto un gesto passato in silenzio negli stessi media bolognesi, ma che ha un impatto straordinario su molteplici piani. Dimostra che anche in un periodo di estrema emergenza come quello che stiamo vivendo si può discutere di mondo, di scelte, di pace; racconta di una parte della politica italiana che ha certo i suoi difetti ma che riesce a non dimenticarsi di ciò che avviene al di là dei confini; parla di una città problematica ma forse, se qualcuno vorrà cogliere questo gesto, ancora nido di tante culture.

Il punto è: qualcuno vuole coglierlo? Sarebbe bello se a farlo fosse proprio la comunità ebraica bolognese. Vuol dire fare una scelta coraggiosa, ma parliamo di una comunità che non ha mancato di dimostrare coraggio.

Sia chiaro che questo non vuol dire cancellare la Shoah né ridere di una preoccupazione, quella di un popolo per la propria incolumità. Le svastiche e le stelle di David a imbrattare i portici sono impressi a fuoco nella memoria di chiunque cammini sotto il cielo di Bologna. Né si può riportare indietro l’orologio della Storia e costringere gli ebrei a una nuova diaspora, trasformarli in un altro popolo di profughi chiedendo loro di abbandonare quella terra, detta Santa, rifugio dalle persecuzioni europee.

Si chiede invece di mettere un punto e a capo a una sindrome di Stoccolma collettiva che Israele vive da dopo il massacro europeo, di fare un cambio di passo per costruire una terra di Israele e un mondo ebraico che sia davvero casa e rifugio per i perseguitati, e non laboratorio del neocolonialismo globale. Di diventare, da difensori passivi, costruttori attivi di pace.

Se la comunità ebraica bolognese si offrirà di essere la colomba di pace per il mondo ebraico italiano, questa transizione è possibile. E sarebbe un passo giusto dopo la tragedia della Shoah.


2 pensieri riguardo ““antisionismo = antisemitismo”? Bologna è chiamata scegliere

  1. Plaudo al gesto del sindaco Merola, che ci invita ad una maggior consapevolezza quando denunciamo atti, parole, dichiarazioni antisemite.

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