Bologna Pride: la festa e la rivolta

Si svolgerà oggi il Pride bolognese, con partenza alle 16.30 da Villa Angeletti e termine ai Giardini Margherita. Il nome dato quest’anno alla manifestazione dai collettivi Lgbtqia+ che lo organizzano è Bologna Rivolta Pride, una rivolta contro le lentezze esasperanti della lotta alla discriminazione. Un intreccio fra festa libera e gioiosa e rivendicazione determinata, che è il sale del Pride da più di mezzo secolo

di Sergio Lo Giudice, docente e attivista per i diritti civili


C’era una volta il Gay Pride, la giornata dell’orgoglio gay. La data era il 28 giugno in ricordo della rivolta di Stonewall, atto fondativo del moderno movimento Lgbti internazionale. Quella notte gli avventori di un bar gay di Manhattan si ribellarono all’ennesima incursione della polizia e ingaggiarono una serie di scontri a cui parteciperanno nei giorni seguenti migliaia di gay, lesbiche e trans. Da allora, scriverà il poeta Allen Ginsberg, “gli omosessuali hanno perso il loro sguardo ferito”.

L’omosessualità era considerata, pressoché in tutto il mondo, illegale o immorale, condannata a oscillare fra l’invisibilità sociale dei singoli, fantasmi asessuati di giorno e cacciatori furtivi di notte, e l’aggregazione clandestina nei bar notturni. Da quel giorno, ogni anno, gay e lesbiche, bisessuali e transgender di tutto il mondo celebrano in questa ricorrenza la fine della loro invisibilità e l’affermazione della loro identità in modo aperto e fiero: pride, “orgoglio”, inteso come fierezza di sé e della propria identità, il ribaltamento del destino di vergogna e nascondimento a cui le persone omosessuali sembravano destinate da sempre e per sempre.

Oggi il termine gay ha lasciato spazio all’acronimo Lgbti o anche Lgbtqia+, termine difficile ma consacrato di recente dalla Treccani, a dare riconoscimento e visibilità alle diverse soggettività, lesbica, gay, bisex, trans, queer, intersessuale, asessuata e altro ancora.  Intanto il Pride è sbocciato nel Pride Month, il mese di giugno in cui si susseguono in tutto il mondo centinaia di manifestazioni, spesso con una coda a luglio ma non solo: in settembre si svolgeranno manifestazioni a Gorizia, Catania a Taranto, mentre il Salento Pride, che vuole parlare ai tanti turisti Lgbti, è fissato per il 21 agosto.

Tanto è cambiato anche in Italia da quella mitica notte del ‘69, ma tante questioni rimangono ancora aperte e spesso in modo doloroso. Per celebrare il 28 giugno alcune importanti realtà economiche, da Facebook a Google, dalla UEFA all’Aeroporto di Bologna, hanno tinto di arcobaleno il loro logo per testimoniare il loro impegno. Ma l’omosessualità resta reato in tanti Stati, in alcuni dei quali è punita con la morte, ed anche dove reato non è l’omofobia morde e fa male.

Il 28 giugno scorso si sono svolte manifestazioni in diverse città italiane, fra cui Roma e Milano. Lo stesso giorno è arrivata la notizia del suicidio di Orlando, un gay diciottenne di Torino che era stato vittima di episodi di bullismo, e del pestaggio di alcuni ragazzi, fra cui un minorenne, ai margini della manifestazione milanese. La settimana prima una donna trans era stata uccisa a Roma. Intanto il ddl Zan contro l’omotransfobia, la misoginia e l’abilismo fatica a essere calendarizzato nell’aula del Senato e l’Italia rimane al trentacinquesimo posto fra gli Stati del Consiglio d’Europa, fra la Georgia e l’Ucraina, in quanto a riconoscimento dei diritti Lgbti.

Oggi, sabato 3 luglio, si svolgerà il Pride bolognese, con partenza alle 16.30 da Villa Angeletti e termine ai Giardini Margherita. Il nome dato quest’anno alla manifestazione dai collettivi Lgbtqia+ che lo organizzano è Bologna Rivolta Pride, una rivolta contro le lentezze esasperanti della lotta alla discriminazione.

Bologna è la città italiana in cui più alta è stata l’attenzione dell’amministrazione ai bisogni di gay, lesbiche e trans. Ogni Sindaco da quarant’anni a questa parte ha voluto scrivere una pagina nuova di questo rapporto, dal riconoscimento di una sede prestigiosa come il Cassero di Porta Saragozza da parte di Renato Zangheri all’intestazione di due luoghi della città a Stefano Casagrande e Marcella di Folco, due dei principali protagonisti di questa storia, da parte di Virginio Merola. La firma, nel 2017, del “Patto di collaborazione” fra Comune e associazioni ha dato un nuovo impulso all’azione congiunta dell’amministrazione e della comunità Lgbti mostrando un esempio virtuoso di sussidiarietà ma anche disegnando un’idea inclusiva della città.

Non stupisca tuttavia che le associazioni Lgbti utilizzino anche a Bologna il linguaggio della rivolta, riprendendo in mano il filo ideale che parte da Stonewall. Troppe ancora le discriminazioni, troppe le diseguaglianze, compresa ormai la legge sulle unioni civili che ha rivoluzionato il costume del paese e la vita concreta di migliaia di coppie lesbiche e gay, ma che non può ancora a lungo sostituire l’accesso egualitario al matrimonio civile da parte delle coppie dello stesso sesso, come avviene ormai da tempo in tutta l’Europa occidentale, negli Usa e in gran parte dell’America Latina.

Insomma anche il Pride bolognese porterà con sè quell’intreccio fra festa libera e gioiosa e rivendicazione determinata, che è il sale del Pride da più di mezzo secolo. Ognuno, com’è da sempre, parteciperà portando con sé, oltre al proprio corpo, i propri contenuti e il proprio spirito. Sarà una bella giornata. Siamo tutt* invitat*.


2 pensieri riguardo “Bologna Pride: la festa e la rivolta

  1. Un intervento in parte condivisibile ma con qualche singolare omissione. E’ condivisibile là dove ricorda la vergogna della persecuzione secolare degli omosessuali, prolungatasi ben oltre la metà del ‘900. A tal proposito, va ricordata una “curiosità storica”: in una gara in negativo, il mondo protestante, tanto caro a una certa sinistra “liberal superò di gran lunga , in intolleranza”puritana” il mondo cattolico.

    Mentre invece andrebbe chiarito in cosa consistano i “diritti” cui fa riferimento Lo Giudice e, soprattutto, quali “diritti ”va considerato tali. Ad esempio, come Lo Giudice saprà benissimo, in merito alla pratica della maternità surrogata il mondo omosessuale è diviso fra chi la promuove e chi la definisce inaccettabile e fa critiche drastiche. Ma pure cosa s’intenda per “genere “, se genere biologico o genere intercambiabile.

    Le femministe omosessuali e non, condannano, a mio parere giustamente, queste pratiche considerate gravemente lesive della dignità della donna. Ma, da quello che si vede, la “democrazia” il dibattito su opinione e scelte diverse, è mal praticato da parte del mondo gay.

    Sergio Lo Giudice, mi par di ricordare, è Presidente Emerito dell’Arci Gay di Bologna, e autorevole esponente del Pd. Qualche tempo fa partì dall’Arci Gay del Cassero una lettera all’Arci Gay nazionale per chiedere l’espulsione dall’Arci Gay dell’Arci Lesbica perché, appunto contraria all’utero in affitto. Riferisco un piccolo caso di cronaca. Personalmente sono amico di alcuni omosessuali, un paio dei quali abbastanza autorevoli nella società civile bolognese, mi dicono che mai voteranno Pd, perché il Pd si fa dettare la linea, da loro non condivisa, dell’Arci Gay del Cassero.

    Questi miei amici vogliono l’integrazione nella società senza discriminazioni, non interessa loro andare in giro con un cartello con scritto “sono gay”. Non approvano l’utero in affitto . Non prendono posizioni ufficiali perché, accusano, a Bologna c’è una sorta di lobby, un combinato disposto, Arci gay del cassero, istituzioni, soprattutto giunta e gruppo Pd a Palazzo d’Accursio, media fiancheggiatori che se un omosessuale osa distinguersi o criticare l’Arci Gay, fa la fine delle femministe lesbiche, o ignorato o “espulso”.

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