Quella notte che ha quasi portato Casini al Quirinale

La notte tra venerdì 28 gennaio e sabato 29, la città di Roma era praticamente deserta. Dopo un’incredibile giornata caratterizzata dall’implosione del centrodestra, travolto dall’ondata di decine di franchi tiratori nel voto sulla Presidente del Senato Casellati, si era tenuto un vertice importantissimo. Poi, a un tratto, come in un’opera, le luci di scena si spostano su Pier Ferdinando Casini

di Andrea Femia, digital strategist cB


La notte tra venerdì 28 gennaio e sabato 29, la città di Roma era praticamente deserta. Dopo un’incredibile lunghissima giornata caratterizzata dall’implosione del centrodestra, travolto dall’ondata di decine di franchi tiratori nel voto sulla Presidente del Senato Casellati, si era tenuto un vertice importantissimo. Il primo di questo livello nella settimana decisiva per il futuro del Colle. Conte, Salvini e Letta, uniti in una stanza di Montecitorio fino a partorire una rosa di nomi validi per ognuno di loro. Draghi, Belloni, Mattarella e, fresco come un fiore, dopo una settimana dietro le quinte, Pier Ferdinando Casini.

Dopo pochissimi minuti, questa rosa di nominativi si è ridotta a una singola foglia. Elisabetta Belloni, nome che abbiamo imparato a conoscere meglio in queste ore, nonostante la sua enorme discrezione. Capo dei servizi segreti, profilo clamorosamente super partes e autorevole. Salvini si intesta la sua candidatura, Conte segue e tutti sapevano che il nome arrivava dal centrosinistra. Una soluzione che andava bene ai grandi partiti a capo di questo governo. Ma la notte tra venerdì 28 gennaio e sabato 29, la città di Roma era praticamente deserta. Matteo Renzi lo sa e cammina da solo, davanti all’ultimo nuvolo di giornalisti che avevano appena finito di rifocillarsi. “Belloni? Le sono amico ma non la voterei. Assurdità istituzionale eleggere come Presidente il capo dei servizi segreti”.

Apriti cielo, ancora una volta Renzi abbassa la sbarra e sceglie di essere decisivo, forte del sostegno di Forza Italia, e quello che è il centro nella parola centrodestra.

La loro soluzione è semplice. Un democristiano se ce n’è uno. Una persona capace di stare da una parte e dall’altra, di uscire e poi rientrare. La soluzione girevole. Pier Ferdinando Casini. Sciarpa del Bologna Fc addosso per tutta la settimana, in realtà il suo nome gira da qualche mese. Non parlava con i giornali, non si esponeva con i leader. D’un tratto, nella notte dopo la giornata più lunga di queste pazze giornate parlamentari, il suo nome inizia ad attrarre tutti. La sua figura è magnetica, la sua incredibile capacità di rappresentare tutte le debolezze emotive intrinseche a ognuno degli oltre mille grandi elettori, forzati a chiedersi davanti allo specchio “cosa mi divide da un uomo che è stato ovunque nel rispetto del suo ruolo, sforzandosi, generalmente, di esserci?”.

Casini ha sempre dato la possibilità ai suoi simili di sentirsi a loro agio nell’abbaglio, proprio e dei propri interlocutori, di riconoscersi buoni praticamente per ogni ruolo senza essere perfetti per una funzione specifica. Che poi, a ben vedere, è caratteristica tipica dell’evoluzione artistica di un politico di mestiere.

Mastella ha parlato chiaramente nei suoi lunghi siparietti con Enrico Mentana: Casini sarebbe la vittoria della politica. Un parlamento che si riappropria della sua funzione, che non si vergogna di se stesso. Un esercito di un migliaio di persone che si alza fiero, dopo essere stato per lungo tempo in ginocchio, con le mani a nascondere il volto paonazzo, per dire “io sono fiero di essere intrinsecamente democristiano”.

Le voci si rincorrono furiose, il Pd sembra starci, addirittura qualcuno nella Lega sembra spingere verso questa soluzione. Il dado sembra tratto. E poi, d’improvviso, una notizia nel blu del cielo che ha già conosciuto l’alba da qualche ora. Draghi ha chiamato Mattarella. Gli ha chiesto di rimanere. Non prima di aver chiesto ai protagonisti del triumvirato della sera prima di essere solidi, di consacrare a una tutte le anime all’interno delle loro squadre.

Il governo regge solo se torna Mattarella. Casini non si era mai scaldato emotivamente. Chiederà lui stesso con una nota di essere messo da parte nei giochi parlamentari. Uniti, solidi, su Mattarella.

Qualcuno giura che quella notte aveva finito per crederci davvero. Quella notte che ha quasi portato Casini al Quirinale.

Photo credits: Ansa.it


Un pensiero riguardo “Quella notte che ha quasi portato Casini al Quirinale

  1. Complimenti per questo articolo che contiene anche una ” leggera” ironia che in questo periodo abbastanza buio ci occorre (leggera è un eufemismo). Da bolognese doc non ho mai tifato per un presidente o sindaco o capo di governo o altro che fosse nativo della mia citta’. Ho sempre sostenuto con ammirazione il sindaco Zangheri (romagnolo), il sindaco Imbeni (modenese) e il presidente Prodi (reggiano). Il discrimine nelle scelte dovrebbe essere sempre la qualita’ (anche umana), l’onesta’, la competenza e la coerenza con i propri principi, naturalmente se ci sono, per evitare troppi ondeggiamenti tra destra e sinistra. Fortunatamente le differenze rimangono eccome!

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