In senso lato e sinistro, eppure non siamo in UK

Purtroppo no. Siamo a Bologna, Italia. Parliamo di traffico, ma il discorso potrebbe estendersi. Da noi si circola a destra e a differenza dei britannici siamo molto legulei ma poco pragmatici, fatichiamo a far rispettare le regole e a rispettarle perché spesso sono punitive, non educative. Si pensa alla cassa oggi piuttosto che ai risparmi domani. In GB la velocità limitata è un must, ogni tratto di strada lo ricorda. Non solo via Stalingrado e viale Panzacchi: che sono bancomat, non autovelox

di Giampiero Moscato, giornalista


Maria Camilla Mellustri, persona che conosco bene anche se non si chiama così, è pragmatica. Molto. Una qualità molto poco italiana, che piuttosto è cultura molto arzigogolata. Patria del diritto, certo. Ma soprattutto del rovescio. Le sue domande nell’articolo (“Ma in che senso?”) rispettano quel modo di osservare la realtà che è tipica di chi si chiede che senso hanno le cose, soprattutto quando appaiono assurde.

Le sue domande sono le mie, da sempre. Ponendole, Maria Camilla mi ha fatto venire in mente non solo il proprio raziocinio pratico. Mi ha ricordato il pragmatismo anglosassone, britannico in particolare. Non dico che siano migliori loro di noi latini, anche se amo il Rock&Roll come quasi null’altro. Però quando fanno una cosa la fanno bene e se ne capisce il senso. Sul traffico hanno molto da insegnarci. Lo so bene perché, per lavoro, ho dovuto noleggiare automobili in molti paesi. Tanti con la guida a sinistra, come il cambio manuale delle vetture: circostanze che inducono a una particolare concentrazione per rovesciare gesti abitudinari. L’Inghilterra è uno dei paesi dove ho guidato di più ed è il Paese in cui ho avuto le migliori lezioni di guida e di rispetto delle regole.

A Bologna, dice l’ausiliaria Mellustri, ci sono due autovelox, in viale Panzacchi e in via Stalingrado. Hanno un senso, lo riconosco per primo, perché sono strade dove il piede sull’acceleratore (o la mano in moto) tende a farsi più pesante del dovuto. E siccome è facile superare i 50 all’ora in quei tratti, possono avere un senso. Chi incappa nella multa, e magari perde punti della patente, starà più attento. Ma basta fermarsi nei pressi dei due occhi elettronici per notare che solo i forestieri e i distratti mantengono la velocità prescelta nei tratti precedenti. I bolognesi e i più concentrati (i segnali ci sono) rallentano vistosamente in zona-foto, molti fanno beffardamente il gesto dell’ombrello alla volta dei due apparecchi, quindi subito dopo accelerano. Tornano a violare bellamente la norma perché sanno che altrove non esistono né tetto né legge e che i 50 sono un inutile orpello di un codice pensato quando le vetture facevano al massimo i 90.

Gli italiani sono “furbastri”, dicono di noi soprattutto i nordici, e tendono a fregare le regole, a “fottere” la legge e lo Stato. Penso non sia un fatto di Dna. Gli stranieri, quando sono sulle autostrade italiane, viaggiano ben oltre i 130 anche loro, esattamente come gli automobilisti tricolori. Si adattano allo stile locale. Come noi quando si va in Inghilterra, la patria dei roundabout, delle rotatorie. Ce ne sono a ogni incrocio: finanziate dalla Ue da cui sono voluti uscire, hanno il senso di evitare gli incidenti fronto-laterali che, dove c’erano i semafori, avvenivano molto più di adesso. Molte vite salvate.

Ma il loro pragmatismo va oltre. Guidare in una città del Regno Unito invita alla prudenza anche quelli che da noi parcheggerebbero con l’Hummer e il motore acceso, gli sportelli aperti, le quattro frecce e lo stereo a tutto volume davanti a Zanarini in zona pedonale.  Il limite di velocità, in miglia, è ripetuto ossessivamente. Ma soprattutto gli autovelox, veri o presunti tali (molti sono finti, messi lì ad ammonire che si rischia la multa) sono ovunque.

Le autorità britanniche hanno speso dei soldi per farlo, ma sulle loro strade hanno ottenuto il rispetto dei limiti. Avranno perso qualcosa in cassa, ma quanto hanno risparmiato in vite umane e nei costi che ogni incidente stradale procura alla collettività lo sanno solo loro. Ma lo possiamo immaginare. Hanno provato a educare il loro popolo automobilistico e hanno vinto la battaglia. Da loro stanno meglio anche i ciclisti, verso i quali le amministrazioni bolognesi sembrano prestare più cura che verso altre tipologie di viaggiatori urbani.

Dove si va più piano, si inquina meno, migliora il traffico, si rischia meno la vita e le due ruote sono meno un azzardo. Per cui insisto su cose che ho detto in privato anche a qualche amministratore di oggi e di ieri, a partire dall’amico Andrea Colombo, il padre dei T-Days e propulsore delle piste ciclabili: con le auto bisogna conviverci. Proviamo a educare gli automobilisti senza dare l’idea che con loro si voglia fare solo cassa. Così come sono, Panzacchi e Stalingrado sembrano più dei bancomat che degli autovelox. Due totem di un sistema inefficace.

Photo credits: Ansa.it


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