La parità di genere nel Pnrr: un’opportunità concreta

È un’occasione per ricostruire le nostre economie, anche in un senso più giusto e più equo, rispettando i tre assi strategici che tutti i progetti delle sei diverse misure sono tenuti a raggiungere: ridurre le disparità generazionali, favorire il riequilibrio dei divari territoriali, promuovere la Parità di Genere. Su questo si è concentrato il confronto tenutosi in Città Metropolitana il 3 maggio scorso, promosso insieme al Comune di Bologna

di Simona Lembi, responsabile del Piano per l’Uguaglianza della Città Metropolitana di Bologna


Al seminario hanno preso parte le categorie economiche, sindacali e le amministratrici del territorio metropolitano, oltre a Veronica Grembi (professoressa di Economia Politica presso Sapienza Università di Roma) e Aline Pennisi (Unità di missione Ng-Eu, Ministero dell’Economia e delle Finanze).

La ragione di fondo è stata (e rimane) quella di trasformare una grande opportunità in qualcosa di concreto. Per farlo, occorre dire subito che un’opportunità non è una cosa certa. È spesso, anzi, qualcosa di molto incerto, soprattutto se, come nel caso della promozione della parità a partire dalle condizioni di lavoro, si comincia in salita: è stato lo stesso Mef a dirci fin dal luglio 2021 che l’80% dei fondi Pnrr è già destinato a settori a stragrande prevalenza occupazionale maschile.

Aline Pennisi ha evidenziato come soltanto l’1,6% delle risorse Pnrr siano esplicitamente rivolte alle donne e il 18,5% siano indirettamente riconducibili a ridurre le disuguaglianze di genere. Il restante 79,9% non è classificabile secondo una prospettiva di genere. 

La professoressa Grembi ha esplicitato gli ostacoli prevalenti all’obiettivo della parità nei progetti Pnrr: la persistenza di stereotipi di genere, le aspettative sul ruolo delle donne all’interno della famiglia e della società, le barriere all’ingresso di certi settori economici e alle posizioni apicali, senza dimenticare il peso di molti sensi di colpa delle donne che lavorano (molto più alti rispetto a coloro che non lavorano).

Come fare fronte a questo? È necessario compiere uno sforzo importante, immaginare cose che ancora non esistono, condividere obiettivi comuni. Ne abbiamo individuati alcuni:

1) Il Pnrr vincola all’assunzione femminile per il 30% della nuova occupazione prodotta utilizzando quelle risorse. Le imprese ci dicono che, anche volendo, in alcuni settori quel tipo di offerta sul mercato del lavoro non esiste. L’edilizia ad esempio. Se questa è davvero la situazione, possiamo condividere il fatto che, invece di andare in deroga all’obbligo del 30%, sia necessario tendere a quel risultato, incrementando comunque l’attuale indice di occupazione del genere più svantaggiato?

2) Perché rinunciare a garantire il principio di uguaglianza nel mondo del lavoro, proprio in quei settori in cui è più difficile? Cogliamo l’occasione del Pnrr per affermare la parità anche laddove storicamente è meno solida? È chiaro che ci sono settori dove è difficile raggiungere la soglia del 30%; proprio per questo vogliamo stringere un patto con queste imprese e condividere l’impegno a migliorare l’indice occupazionale femminile. Lavoriamo, insieme, su percorsi scolastici, universitari e di formazione più complessiva, con l’obiettivo che tra 5, 6 o 7 anni non sia più una rarità incontrare ingegnere, muratrici o piastrelliste?

3) Aggiorniamo il nuovo codice degli appalti alla luce delle nuove misure di Gender Procurement. La Regione Lazio ha scelto di assegnare un punteggio aggiuntivo a quelle imprese che praticano la parità tra lavoratori e lavoratrici quando, per esempio, non hanno avuto contenziosi in ambito di diritto discriminatorio nei 3 anni precedenti alla presentazione della domanda; a quelle che hanno specifiche misure di welfare aziendale a favore della conciliazione; alle imprese che favoriscono la parità nelle carriere lavorative e che hanno norme antidiscriminatorie nei consigli di amministrazione. Vogliamo discuterne e condividere una proposta capace di funzionare a Bologna?

Sempre secondo Pennisi, anche i progetti non esplicitamente pensati per ridurre le disuguaglianze di genere possono avere effetti positivi e le realtà locali (Comuni e Città Metropolitane) hanno un ruolo chiave nell’ideazione di progettualità che individuino il collegamento a risorse che, pur non essendo destinate alle lavoratrici, possono essere riconducibili, se ben disegnate, ad azioni legate alla diminuzione del divario di genere. 

4) Di grande interesse rimane lo spazio di una nuova progettazione urbana capace di rispondere alle diverse esigenze di spostamento tra uomini e donne, individuando un sano rapporto tra metri quadrati costruiti e servizi di welfare esistenti, fino a prevedere sperimentazioni come quelle già in atto a Vienna, che ha definito un intero quartiere abitato da 7000 persone, progettato, ideato, realizzato dalle donne.

D’altronde nel periodo 2015-2018, in media in Italia la quota di donne assunte dalle imprese è stata superiore al 30%, benché con una certa variabilità settoriale. Immaginando che la dinamica dei prossimi anni sia analoga a quella del periodo 2013-2019, si può affermare che circa un quinto delle risorse del Pnrr è destinato a settori che potrebbero ridurre il gender gap occupazionale di almeno il 50%, un terzo è dedicato a settori che potrebbero ridurre il divario di genere del 30% e i restanti fondi, oltre la metà, vanno a settori che potrebbero in qualche misura ridurre il divario.

Il 3 maggio abbiamo posto le basi per un possibile impegno comune. Non si tratta di una a sterile battaglia di donne contro uomini, ma di condividere un enorme salto culturale e pratico al tempo stesso, propostoci col Pnrr: abbandonare l’idea che alcune tipologie di lavoro siano a quasi esclusivo appannaggio maschile e promuovere, per davvero, la parità di genere. Per favorire l’Uguaglianza e cioè una condizione in cui tutti e tutte vivono meglio.

Se non troviamo ragioni e uno sforzo comuni, questa sfida è destinata a essere persa. Possiamo permettercelo? Per rendere questa, invece, una cosa CONCRETA, c’è bisogno dell’impegno di tutte le parti economiche, sociali e istituzionali.

Siamo Bologna, ci impegniamo anche per questo!


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