Quella torre mutilata, una ferita da curare

La ciminiera del Molino Parisio da dieci anni non svetta più, dall’alto dei suoi 25 metri, sulla via Toscana. Gravemente lesionata dalla scossa di terremoto che il 29 maggio 2012 fece scempio dell’Emilia, due mesi dopo fu sottoposta al taglio in vari tronconi.  Si disse che un giorno sarebbe stata ricostruita. È un regalo che va fatto alla nostra storia e ai nostri posteri. È un’icona di Bologna, come la “Battersea” lo è per Londra. Lasciarla tronca sembra una resa al sisma, che invece fu domato

di Giampiero Moscato, giornalista


Era un arrivederci imperioso per chi si allontanava, un ciao autorevole per chi veniva in città attraverso la strada statale della Futa. Ora è un saluto smozzicato, è proprio il caso di dire così. Vederla mutilata ha un effetto deprimente. Bologna è famosa per le torri medievali, di ben più ardita fattura, ma anche le ciminiere parlano della sua grandezza.  Sempre che siano restate in piedi. Dall’11 giugno del 2012 non è più così per una delle più belle e importanti, quella del Molino Parisio, piantata con i suoi originari 25 metri di altezza là dove finisce via Murri e comincia via Toscana.

Quel giorno, in seguito a un sopralluogo e a un verdetto impietoso dell’ufficio tecnico del Comune e dei vigili del fuoco, che dovevano valutarne la solidità dopo i danni che le erano stati inflitti dal terremoto del 29 maggio 2012, la grande struttura fu tagliata a pezzi. Venne ridotta al mozzicone che si vede in foto, con due fasce metalliche a cingerne la base residua; sulla cima fu posto un coperchio di rame per proteggere la fumaiola. I monconi furono ricoverati in un deposito comunale. Si disse all’epoca che con quei blocchi magari un giorno si sarebbe potuta ricomporre.

Ecco, sarebbe un atto bello e doveroso per la tutela della memoria del nostro patrimonio culturale e industriale e per i posteri. Lasciarla tronca ha il sapore amaro di una resa al sisma, quando invece la reazione pubblica e privata fu imperiosa e oggi quasi tutto quello che venne demolito o lesionato è stato ricostruito. Le terre che furono scempiate da una serie lunga e terribile di scosse hanno addirittura fatto un balzo economico importante.

Foto del Molino Parisio all’inizio del XX secolo

Il Parisio esiste dal 12 giugno 1417, si chiamava all’epoca “Molino de Beldeporto”. Passò di proprietà più volte e, acquistato dalla famiglia Marchi-Parisi, assunse la denominazione con cui è giunto fino a oggi, sopravvivendo anche ai bombardamenti della guerra. L’alta ciminiera è ovviamente opera più recente. Fu battezzata il 20 febbraio 1883 quando entrò in funzione un motore a vapore da venti cavalli per muovere le macine anche nei periodi di siccità, che avrebbero fermato le pale e quindi pure le mole che normalmente erano spinte dalle acque del Canale di Savena. Di questi tempi e con il clima impazzito, dunque, quel grande camino sarebbe quasi certamente fumante. Ma non è più attivo da decenni. Esattamente cent’anni dopo la sua costruzione, era il 1983, cessò le attività. Il complesso che dà il nome alla via adiacente e che si affaccia anche su via delle Armi è di proprietà di un privato che ottenne la concessione per il restauro conservativo. Una parte fu dedicata ad abitazioni, il seminterrato divenne agenzia bancaria.

La “Battersea Power Station” di Londra. Photo credits: Alberto Pascual (CC BY-SA 3.0)

Il Molino non ha la potenza della “Battersea Power Station”, la celebre fabbrica londinese con le quattro ciminiere affacciate sul Tamigi che nel 1977 divenne la foto di copertina del disco “Animals” dei Pink Floyd, e che è uno dei più grandi edifici esistenti in Europa, ora finemente ristrutturato. Ma nemmeno l’Asinelli e la Garisenda reggono il confronto con l’“Empire State Building”, se restiamo su questo piano, né San Luca con “Notre-Dame de Paris”. Sono per questo meno iconiche del grande grattacielo di New York e della Cattedrale di Lutezia, almeno per noi bolognesi?

Ecco, anche quella ciminiera è un’icona della nostra città, un gioiello industriale dell’attività molitoria che unisce agricoltura, industria, ingegneria, la fame delle carestie e il grasso dei tortellini. Quando ci fu la scossa che la lesionò, l’immagine delle transenne attorno al gigante ferito fu una di quelle che con maggiore forza didascalizzava la tragedia che era caduta sulla nostra comunità. L’amputazione fu il colpo di grazia. Ricostruirla sarebbe una guarigione non solo simbolica. La vita che ricomincia scaccia i pensieri più funesti. E i saluti solari e cordiali curano la depressione. Soprattutto se sono alti 25 metri.


3 pensieri riguardo “Quella torre mutilata, una ferita da curare

  1. Buongiorno, come Comitato per Una nuova Caserma Mazzoni, che ha avuto la sua “base” proprio nei locali delle vecchie lavanderie dietro al mulino siamo interessati ad approfondire l’argomento.
    Se fosse possibile a settembre incontrarci e valutare insieme, potrebbe essere interessante.
    Grazie perunanuovacasermamazzoni.

  2. Certo sarebbe molto bello rivedere la famosa torre del molino Parisio, Dobbiamo conservare, ricostruire perchè rappresentano la storia di Bologna. Facciamo un appello al Sindaco Lepore perchè una torre datata 1417 deve essere un vanto per Bologna. Speriamo …..

Rispondi