Impressioni di settembre

Negli stessi giorni in cui a mezzo stampa dirigenti passati e presenti del Pd si interrogano sul perimetro identitario della sinistra, sulla Rai va in onda il confronto a distanza tra Gianfranco Fini e Aboubakar Soumahoro. Due idee del mondo molto differenti, ma consapevoli di sé e della necessità di affermarsi facendo combaciare pensiero e azione

di Pier Francesco Di Biase, caporedattore cB


«Chi siamo noi? E dove andiamo?». Sì potrebbe riassumere così, con un titolo buono tanto per un convegno di ufologi quanto per una tournée di Paolo Conte, il dibattito per lo più a mezzo stampa che sta attanagliando la sinistra italiana.

Quesiti certamente interessanti, non lo nego, che tuttavia rischiano di mettere in secondo piano quel dato di realtà con il quale nemmeno la coscienza più dissociata può fare a meno di confrontarsi. Tanto più che mentre il Woody Allen della politica italiana, al secolo Partito Democratico, sta sdraiato sul lettino dello psicanalitista, intorno il mondo continua a muoversi, seppure apparentemente in direzione ostinata e contraria alla logica.

E così, negli stessi giorni in cui sulla carta stampata bolognese proseguiva il dialogo esistenziale tra i vari Lepore, Bersani e Rosy Bindi, su mamma Rai e di domenica, connubio vincente di sacro e profano, avveniva per la prima volta dalle elezioni del 25 settembre un serio confronto a distanza tra destra e sinistra, incentrato su temi e termini di effettiva attualità. Al grande ritorno su schermo di Gianfranco Fini da Lucia Annunziata, infatti, faceva da contraltare l’intervista di Fabio Fazio ad Aboubakar Soumahoro, quasi che il destino – ma più probabilmente gli autori della televisione pubblica italiana – avesse finalmente voluto mettere a confronto il contitolare della prima legge apertamente restrittiva in materia di immigrazione e uno dei suoi più strenui e noti oppositori.

Poiché l’efficacia delle interviste la fa l’ampiezza delle domande – principio su cui dovrebbero meditare anche i politici nostrani quando le chiedono al posto di editoriali autografi – di immigrazione e diritti il presidente Fini ha potuto parlare poco, sebbene in maniera così diretta da garantire a noialtri scribacchini qualche titolo roboante. Ma incalzato sulla questione del lessico politico, ha toccato forse uno dei pochi punti di contatto con il fondatore della Lega Braccianti. Perché termini come “Patria” e “Nazione”, utilizzati spesso anche da Soumahoro, non sono appaltati in esclusiva a una parte politica, bensì patrimonio di tutti i cittadini in quanto iscritti nella nostra Costituzione, nata dalla Resistenza. La differenza tra destra e sinistra sta – o dovrebbe stare – nell’interpretazione più o meno restrittiva che se ne dà. Soprattutto quando si parla di diritto d’asilo e cittadinanza.

C’è poi un secondo aspetto in comune tra le due interviste, che si ricollega al principio di questo ragionamento e gradirebbe concluderlo, ed è proprio l’importanza di avere un’identità. Perché se il linguaggio è di tutti, la rappresentanza ha invece limiti definiti, che non è bene valicare. Sia Fini sia Soumahoro hanno identità politiche chiare e le rivendicano. Ciò che consigliano alla sinistra – dunque anche al Pd – è di individuare la propria, per metterla al servizio del Paese.

All’apparenza, quindi, il dibattito giornalistico di cui sopra potrebbe sembrare perfettamente centrato. Eppure, non me ne vogliano i relatori, io credo che la risposta sia molto più semplice di quanto si pensi. Basterebbe ricordare, come ha fatto Piero Ignazi nel suo ultimo editoriale per Domani, che «la crisi di nervi si supera nel confronto sul cosa fare, non sul “chi siamo”». Un dato che francamente (cit.) dovrebbe essere oramai acquisito, soprattutto per chi è iscritto al Partito Socialista Europeo.

Se poi nonostante questo si avessero ancora dubbi, ho una soluzione meno drastica della sua: un salto in Piazza Dalla, per abbracciare l’ulivo all’ingresso. Dicono che la silvoterapia attenui la depressione. E posso confermare che è vero.


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