La competizione congressuale tra Bonaccini e Schlein mette al centro il modello emiliano e salva il principio delle Primarie. Ma se vuole la svolta, il Pd non può far altro che tornare sui temi storici della sinistra, a cominciare dal Lavoro
di Pier Francesco Di Biase, caporedattore cB
«Può succedere di litigare, fare e disfare, ricominciare tante volte. Eppure, quando tutti vogliono costruire una parte, alla fine, i mattoncini saranno al loro posto e il risultato sarà spettacolare»
(Lorenzo Berselli, Agata Matteucci; Mamma, papà: che cos’è il lavoro?)
Non credo ci sia mai stato Congresso più favorevole di quello in corso, per un elettore emiliano del Pd. Perlomeno di un elettore Pd in buonafede. Mi stupirebbe, infatti, scoprire che le candidature di Stefano Bonaccini e Elly Schlein possano scontentare qualcuno tra iscritti e dirigenti di queste nostre contrade.
Viene poi difficile pensare che la balcanizzazione tra un Congresso e l’altro – cui i democratici hanno abituato il gentile pubblico – potrà riproporsi tale e quale a opera di due che, come hanno ribadito più volte, si stimano e hanno governato insieme la nostra regione facendone un modello, senza mai dare notizia di crepe o fraintendimenti. Se così andranno le cose, a entrambi dovrà essere riconosciuto almeno il merito di aver normalizzato un dibattito interno dai tratti spesso e volentieri grotteschi.
Al netto della selva di pseudocandidati e mozioni che ogni giorno si palesano per contarsi molto più che per competere, resta però fermo il punto che quello tra Bonaccini e Schlein non si propone come l’ennesimo regolamento di conti tra potentati, ma come una sana – dunque anomala – competizione tra un’interpretazione più moderata e una più radicale delle sfide poste in essere dal Presente. Avendo ben chiaro in testa che, archiviata definitivamente la chimera del bipartitismo, un Paese come il nostro ha bisogno di un partito socialdemocratico maturo e consapevole.
È lecito immaginare che un ticket tra Bonaccini e Schlein, come suggerito da Andrea De Maria, avrebbe avuto un peso elettorale nettamente maggiore. Lo è altrettanto credere che un’operazione del genere avrebbe soffocato ulteriormente il dibattito sui temi, per ora incagliatosi sul dilemma nominalistico tra “Pd”, “Padel” o “Football&Cricket Club”. Quel che è certo, oltre alla prossima devastante ondata di maltempo causata dall’inedita convergenza di opinioni tra me e il deputato, è che il principio democratico delle Primarie è ancora una volta salvo, nonostante gli ennesimi mugugni di compagni vecchi e nuovi. E questo, a parer mio, è già un gran bel risultato.
Questo Congresso potrebbe poi essere una vera svolta se la questione del Lavoro, giustamente posta da Matteo Lepore, superasse le paludi della forma per approdare al mare aperto della sostanza. Perché di un partito del lavoro – quello vero e attuale, non quello da convegni – c’è oggettivamente bisogno. Certo entrambi i candidati ne sembrano consapevoli, ma una risposta convincente per un partito non può che essere collettiva, e una risposta collettiva ha bisogno di un’elaborazione della stessa natura. E come ha ricordato Maurizio Morini (qui), da questo punto di vista siamo appena agli inizi…
Oltretutto, almeno per quanto mi riguarda, non è detto che gli stimoli migliori arrivino per forza di cose dalle fonti canoniche del pensiero socialista. Da pochi giorni ad esempio è uscito in libreria Mamma, papà: che cos’è il lavoro? scritto e disegnato da Lorenzo Berselli e Agata Matteucci, con la collaborazione di Pamela Gioacchini, responsabile dell’Atelier dei Piccoli di Bologna. Un libro pensato per i bambini – ma lo farei leggere anche a molti adulti – che indaga il tema del lavoro in maniera tanto semplice quanto efficace, come capita spesso a chi conosca davvero la materia di cui parla. Soprattutto, un libro capace di individuare e riportare alla luce le parole chiave di un corretto rapporto tra l’individuo e la sua professione, troppo spesso ridotto dal dibattito pubblico a una mera equazione tra monte ore, stipendio e calcolo pensionistico.
Tra le tante ce n’è una, “partecipazione”, che ho trovato particolarmente calzante per il momento attuale dei dem. Perché un partito senza scopo e senza popolo è come un uomo senza passione per il suo lavoro. Un dio senza fedeli, cui resta solo l’eco triste di sé stesso.
sono curioso di conoscere il riscontro che avranno entrambi nel resto d’italia …,
Un articolo interessante, insolito (quindi positivo). Non credo però che questo confronto, speriamo fecondo, sia riconducibile solo a Bonaccini e Schlein. Io conto molto, non per il risultato delle primarie ma per l’inserimento di più idee utili e pensieri lunghi in questa prima fase congressuale, sul contributo di Gianni Cuperlo.