«Marcello De Angelis si erge a Giordano Bruno ma non arriva a “rivelare” la verità sulla bomba. La boutade dell’ex “Terza Posizione” ora portavoce della Regione Lazio, nonostante le scuse tardive, non servirà a nulla dal punto di vista giudiziario ma è chiaro lo scopo: sollevare polveroni per indebolire la Repubblica nata dall’antifascismo. Quando anche la Premier soffre di afasia sulla matrice neofascista dell’attentato tocca agli storici e alla stampa costruire con prove documentali un baluardo a difesa della democrazia»
di Fulvio Cammarano, storico, direttore del Master in Giornalismo Unibo
Com’è possibile che una persona pronta per il martirio (mediatico), al punto da paragonarsi a Giordano Bruno, non sia poi disposta ad andare sino in fondo “svelando” finalmente agli italiani i nomi dei responsabili della strage alla stazione di Bologna? Ci si potrebbe domandare a che serve la temeraria esternazione, poi stemperata con un post di scuse su Facebook, del responsabile della comunicazione della Regione Lazio, l’ex “Terza Posizione” Marcello De Angelis se poi non arriva sino in fondo con la rivelazione della verità che «tutti conoscono»?
Mai poi sorge il dubbio che forse la domanda per capire questa strana vicenda dovrebbe essere posta in altro modo: il quesito non è “a che serve”, ma “a quale scopo”. Poiché già sappiamo che non servirà a nulla dal punto di vista giudiziario, è possibile ipotizzare che sarà invece molto utile da quello del “polverone mediatico”, parte integrante, sin dal 1980, dei depistaggi per impedire di giungere alla verità. Ed è fuorviante tirare fuori la questione della libertà di opinione per difendere l’uscita di De Angelis, perché appare evidente che quando una figura con ruoli istituzionali decide di denunciare il Capo dello Stato e i tribunali della Repubblica in quanto sostenitori di sentenze «notoriamente farlocche», dovrebbe come minimo, prima di parlare, avere pronte le prove.
In realtà l’obiettivo dell’ex “Terza Posizione” è seminare fake news utili a preparare il terreno per indebolire la fiducia dell’opinione pubblica nelle storiche istituzioni repubblicane. E nulla cambierebbe da questo punto di vista anche nel caso De Angelis fosse costretto a dimettersi. La “verità indicibile” rimane lì ad avvelenare l’ambiente e a educare stuoli di follower del complottismo.
L’azione del portavoce della Regione Lazio non può comunque essere interpretata a prescindere dall’ambiente politico in cui si muove. Non dimentichiamo che Giorgia Meloni non ha mai nascosto l’urgenza di andare oltre la semplice gestione dell’Esecutivo. C’è anche, soprattutto per la presidente del Consiglio, un’esigenza “educativa”: d’imporre cioè una nuova egemonia culturale che metta al centro della società i valori del nazionalismo e con essi, necessariamente, l’urgenza di riscrivere la storia della Repubblica fondata sull’antifascismo.
Non si può infatti fare a meno di notare come l’esternazione di De Angelis sia strettamente collegata al rifiuto, simbolicamente molto rilevante, della Premier di attribuire la carneficina alla stazione di Bologna all’azione dei neofascisti. Si tratta di una afasia decisamente grave dal punto di vista istituzionale, solo in parte compensata dalle dichiarazioni del ministro dell’Interno Piantedosi che nell’edizione del Corriere della Sera del 7 agosto parla di «accertata matrice neofascista». Dimenticare la quale fa parte, come le fake news di De Angelis, di tale carsica riscrittura.
Il vero problema però, quello che chiama tutti in causa, è che la leader di FdI sa di potersi permettere quel tipo di “amnesia”, profondamente consapevole, com’è, di non rischiare alcun tipo di contraccolpo negativo in termini di consenso. Se è così bisogna allora interrogarsi sulla natura profonda della cittadinanza italiana, da sempre poco sensibile ai temi dei diritti collettivi e delle libertà, come aveva confermato il largo consenso goduto dal regime fascista che era stato, in primo luogo, un progetto politico drasticamente ostile proprio alla salvaguardia dei diritti come fondamento delle pubbliche libertà.
Che fare? Al di là dell’azione politica, è importante non dimenticare che ogni nuovo discorso egemonico necessita di fondamenta storiche. Se dunque l’intento è quello di riscrivere la storia, è proprio dalla storia che bisogna partire, dal suo metodo che impedisce di affermare qualcosa senza il rimando a una nota con cui si documenta quello che si sta sostenendo. In questo la sinergia con il giornalismo di qualità appare evidente e si configura come un vero e proprio baluardo civico. Dobbiamo essere consapevoli, insomma, che tali scelte politiche sono un modo per alimentare la sfera del complottismo, minare la credibilità delle istituzioni esistenti.
Come è noto, più la storia, il suo metodo, sono emarginati, più paradossalmente la politica cercherà di impossessarsene per legittimare ricostruzioni di comodo. Ma in una comunità la democrazia entra in crisi nel momento in cui manca una visione condivisa sui temi fondativi della sua storia. Dunque, indebolire l’antifascismo è, in fondo, un modo per indebolire la democrazia.
Photo credits: DiRE.it
Un pensiero riguardo “Strage di Bologna: «Con le “fake news” mirano a riscrivere la storia»”