Le gonadi danzanti

Tra le molte cose che mi auguro per la città del futuro, c’è anche quella di tornare a prendere la vita con leggerezza. È una virtù tipicamente bolognese, che penso sarebbe molto efficace per risolvere i nostri piccoli e grandi problemi quotidiani

di Pier Francesco Di Biase, caporedattore cB


Contrariamente a qualunque buon auspicio, tocca constatare come, ancora una volta, il dibattito cittadino sia scaduto tra le comode sponde di un sempreverde provincialismo spinto.

Certo non bisogna farsene un cruccio troppo grande: siamo in piena estate, la politica langue così come le notizie, e di qualche cosa bisognerà pur riempire queste torride giornate bolognesi. E cosa mai è più efficace della questione “degrado” per raggiungere tale scopo?

Dunque eccoci serviti, con tanto del classico ricettario rispolverato per l’occasione: qualche decina di giovani in libera uscita, litri di alcolici a piacere, uno o due comitati di residenti incarogniti e una spolverata di perbenismo q.b. Impastate il tutto per qualche minuto di lettura con caffè al bar e versate il preparato in una piazza qualsiasi, basta che sia abbastanza capiente da contenere le inutili polemiche che ne scaturiranno. 

Lasciate riposare per tutta la notte in stamperia e il giorno dopo avrete la solita polemica sulla “movida” bolognese, pronta per la prima occasione in cui la noia di esistere prenderà il sopravvento sulla felicità di sapersi ancora vivi in questi tempi così difficili.

Sarà che da quasi trent’anni abito felicemente al Pratello, oppure che questa polemica è più vecchia di me. Sta di fatto che tra tutte queste denunce pubbliche e private di degrado fisico e morale, di orge e baccanali, le uniche a danzare non sono le Menadi invasate dell’antico culto di Dioniso ma le biglie di noi comuni mortali, costretti a discutere ciclicamente di “un fenomeno” – ma forse sarebbe meglio dire “una tradizione” – che a Bologna si manifesta con cadenza settimanale all’incirca dalla fondazione dell’Ateneo.

Io stesso del resto non me ne occuperei, se non fosse per quell’insopportabile ipocrisia di fondo insita in questa eterna querelle, brillantemente esposta anche da Andrea Femia nell’ultimo episodio del suo podcast Fuori Porta (se non avete ancora udita la sua disamina, uditela, non ve ne pentirete). Vale a dire che Bologna di queste cose ci campa bene, e ci campa da sempre.

Facciamo un gioco? Andiamo a vedere quanti tra quelli che si lamentano per la vita notturna hanno una o più proprietà in affitto a studenti o giovani lavoratori. E quanti altri invece posseggono o gestiscono direttamente locali, bar e ristoranti? Non so perché, ma credo proprio che ne verrebbe fuori un quadretto interessante.

Come testimonia l’indagine del Sole 24 Ore, Bologna e l’Emilia-Romagna sono scelte dai giovani italiani e stranieri per l’alta qualità della vita, prima ancora che per le opportunità di lavoro che offrono. Ma immaginando che non siano tutti figli di Turlonia, pronti ad accendere un mutuo come fosse una sigaretta, per accaparrarsi un tetto sopra la testa dovranno pur bussare alle porte di qualcuno. E quel qualcuno chi è? E soprattutto, che prezzi fa?

Non ho spazio qui per dilungarmi sulle storture del mercato degli affitti bolognesi, ma penso che anche i più naïf tra noi abbiano un’idea di quello a cui sto alludendo… Per non parlare del fatto che tutti noi abbiamo il figlio del cugino o l’amico che ha mollato giurisprudenza al terzo anno per aprire uno dei duecento milioni di bistrot che hanno fatto fortuna in questa città. Dunque guardandoci nelle palle, questa volta degli occhi: di che ci stiamo lamentando?

Ma ancor più della nostra ipocrisia, quello che mi preoccupa davvero è questa crescente intolleranza, questo irrefrenabile desiderio di repressione, di punizione, di emarginazione di tutto ciò che viene considerato inaccettabile rispetto a un non meglio precisato “canone” di comportamento. È la stessa bramosia che ha spinto una candidata sindaca ad affermare, a proposito di Piazza Verdi, che “l’Università deve espellere gli studenti che infrangono la legge”, senza che l’opinione pubblica fosse minimamente scossa dalla violenza di una simile affermazione. A questo punto la domanda è lecita: che cosa stiamo diventando?

Senza scadere nel melodramma, tra le molte cose che mi auguro per la città del futuro c’è anche quella di tornare a prendere la vita con leggerezza. È una virtù tipicamente bolognese, che penso sarebbe molto efficace per risolvere i nostri piccoli e grandi problemi quotidiani. E magari evitarci qualche inutile giramento di… 

Poi certo, ci sono anche le soluzioni pratiche. Qualcuno ha già riproposto le transenne, ma mi pare una terapia un po’ troppo invasiva. Più facile, credo, andare in farmacia a comprare una grossa confezione di tappi per le orecchie. Posso garantire che funzionano.

Photo credits: Francesca Bombarda, Chiara Caravelli


4 pensieri riguardo “Le gonadi danzanti

  1. Non vivo in zona U,, ma sono bolognese Doc. In questo articolo, finalmente parole di equilibrio e di saggezza. L’università fa giovane Bologna e penso che contribuisca anche alla leggerezza che è albergata nel nostro carattere. Non sono i gendarmi quelli che auspichiamo. E neanche una sindaca che, per qualche voto in più, propugna espulsioni!

  2. No, i tappi per le orecchie non sono una soluzione. È come voltarsi da un’ altra parte. Il problema per tanti che abitano in prossimità delle piazze della movida -non c’è solo Piazza Verdi- è concreto e sonoro. I disturbi e il degrado, lo sporco e la maleducazione civile, l’inurbanità ci ricadono addosso come antipolitica.
    Non auspico i gendarmi, si potrebbero anticipare in ore di sonno le grandi pulizie con idranti e mezzi corazzati.

Rispondi