Il fermento che da anni sta investendo il Pratello e Via San Felice sembra lasciare fuori le vie più piccole che le collegano. Ma non è sempre stato così, come attestano le documentazioni medievali che identificano la zona come “Borgo di San Felice”. Se tutto fosse messo a sistema e inquadrato in una strategia di riappropriazione collettiva e democratica di questi spazi, si potrebbe dare vita a qualcosa che in città ha paragoni soltanto col centralissimo Quadrilatero
di Giancarlo Dalle Donne, archivista
Il trapezio in questione ha per lati via San Felice, via del Pratello, via della Grada, via Calari. Cerca di riprodurre, in qualche modo, l’antico Borgo di San Felice, documentato fin dal ‘200 negli estimi bolognesi e citato anche da Dante nel De vulgari eloquentia, a inizio ‘300.
Si propone come “distretto” (lo so, lo so, il termine non è proprio esatto) dove possano felicemente convivere movida, shopping, cultura (Palazzo Pallavicini) e storia (Opificio delle Acque). Può iniziare da via della Grada, dove il canale di Reno entra in città e, in un primo momento, secoli fa, si buttava in Pratello.
Via San Felice si sta trasformando lentamente. Puntando, oltre che sullo shopping, sulla movida, con bar che ristrutturano e si dedicano anche alle aperture serali.
Poi c’è un fatto nuovo, destinato, si spera, a dare una svolta. Finalmente verrà ristrutturata (in tempi pare non lunghi) la ex chiesa di San Nicolò di San Felice (circa mille mq), destinata a diventare “polo culturale”, ristorazione inclusa, grazie all’acquisto da parte di un importante gruppo di imprenditori locali, con alle spalle già diversi interventi analoghi di rilievo. Si può immaginare che quel luogo, e tutta via San Felice, si relazionerà in modo sempre più stretto con la vicina via del Pratello.
Ok, tutto molto bello. Progetti futuri: Pratello e San Felice, Grada e Calari. Ma se in geometria il trapezio è fatto solo di lati, nella realtà non è solo questo. C’è anche il contenuto, in questo caso le vie di collegamento che uniscono le due strade principali e che perciò diventeranno strategiche: Santa Croce, San Rocco, Pietralata, Paradiso, Coltellini. Cinque strade in alcuni casi non molto interessanti, con scarsa identità, che si percorrono non proprio volentieri.
Pensate a via de’ Coltellini, la “via del nulla”: solo alti muri (peraltro senza scritte), non un negozio né un civico, nulla. Insomma, il luogo ideale per allestimenti artistici, che so, per esempio opere tipo Cheap (vedi via dell’Abbadia) o di writers (tipo Rusty) che contribuiscano a fornire una nuova identità alla strada.
Poi, San Rocco, con frammenti di verde a tutt’oggi maltrattati. Con il suo giardino, ma il tutto in stato di conservazione migliorabile. E allora si potrebbe riempire di piante particolari e insolite, facendone una sorta di “Via verde”.
Rimangono Santa Croce, Pietralata, Paradiso. Che vocazioni dar loro?
Ma insomma devo fare tutto io in questa casa? Qualcuno ha qualche idea, creativa e intrigante? Pensate solo al successo degli ombrelli appesi che hanno dato nuova vita a strade portoghesi e ferraresi, o alle scritte luminose con brani di Lucio Dalla…
Il tutto condito con una buona dose di wc chimici, corsie ciclabili, cartellonistica, depliant, visite guidate, ecc.
A Quadrilatero, scansate, arriva il Trapezio…
Ma davvero abbiamo paura che, tra un ristorante e una pizzeria e un bar con relativi dehors e tavolini, rimangano 10 centimetri di spazio non utilizzato per comporre uno scenario precostituito?
Abbiamo paura di camminare lungo un muro privo di suggerimenti per la fantasia?
Abbiamo bisogno di richiudere le suggestioni entro siepi di già noto?
Per favore non facciamo di Bologna un’ennesima mirabilandia.
Questo è un commento per me davvero spiazzante. Sospendo il giudizio (che è sempre una buona pratica) e ci penso. Cmq grazie