Il progetto del Pd è fallito. Oggi si presenta la necessità di rifondare una sinistra che guardi alle classi popolari, ai ceti medi proletarizzati, ai nuovi ceti marginalizzati del lavoro precario, anche intellettuale, delle periferie, delle aree interne. Per questo ho accettato di dare il mio contributo al progetto della lista Unione Popolare
di Pier Giorgio Ardeni, docente e candidato per Unione Popolare nel collegio di Bologna
Qualche giorno fa è apparso su queste pagine un articolo della redazione dal titolo “Per un cantiere della sinistra, proviamo a sognare” . Vi si leggeva della necessità «che il centrosinistra si interroghi su che cosa c’è che non va nel proprio modo di stare in politica e cosa servirà nel futuro». Nobile intenzione, esito discutibile. Un “cantiere della sinistra” che considera solo il Pd è infatti un cantiere che costruirà ben poco. Perché il Pd, per l’evoluzione che ha avuto, appare lontano dal rappresentare una forza di sinistra in tutto e per tutto. A meno che, certo, non si provi a sognare.
Sin dall’indimenticabile ’89 – come lo definì Occhetto – il Pds, poi Ds e infine Pd decise di sposare la via del «capitalismo democratico cum welfare», aderendo poi ai principi del Trattato di Maastricht, della fantomatica “Europa sociale”. Quella logica si basava sull’idea che l’importante era la crescita – «la marea che farà sollevare tutte le barche» – perché il resto, più reddito e occupazione per tutti, sarebbe venuto da sé. Il corollario era quello di «lasciare fare ai mercati», che sono “efficienti”, ove lo Stato deve astenersi dall’intervenire e al più, controllare, regolare e, magari, re-distribuire.
I risultati sono oggi visibili a tutti. Non si è capito che la globalizzazione avrebbe favorito il capitale a scapito del lavoro. La libera competizione – non regolata – ha provocato una forbice tra i redditi da lavoro alti e i salari. Certo, le politiche re-distributive ci hanno “messo una toppa”, ma non intervenendo a monte oggi ci troviamo con una disuguaglianza nella distribuzione che è molto peggiore di trent’anni fa. Dal 2011, poi, il Pd ha sempre sposato politiche “liberiste” – dall’austerity ai tagli alla spesa sociale – senza mai mettere in discussione quell’impostazione di fondo. Perdendo così di vista le classi popolari. Divenendo quindi, nei fatti, sempre meno “di sinistra”.
Nel tempo, gli eredi del Pci si sono divisi in più tronconi: accanto a quello principale, la prima Rifondazione Comunista ha cercato di tenere alta una bandiera senza cogliere la portata dei cambiamenti in atto. Le classi popolari hanno perso i loro referenti. Se c’è una ragione per cui si sono rivolte prima al M5S e poi alla Lega è stato proprio per quell’appello egalitario (dei 5Stelle) e sovranista, protezionista e securitario (della Lega e ora di FdI) che prometteva di raccogliere le loro istanze inascoltate altrove. Se ora ci strappiamo le vesti gridando al pericolo di una destra post-fascista al potere, dobbiamo però chiederci come sia stato possibile che, a sinistra, si siano perdute quelle classi: cosa è stato fatto per dare risposte ai loro bisogni?
Il progetto del Pd è fallito. Ora si tratta di tornare a quei bisogni e all’esigenza di rappresentarli. Sappiamo che il protezionismo sovranista non offre soluzioni, tanto più se tinto di nazionalismo, occhieggiando l’autoritarismo populista. Ma continuare a sposare la logica liberista che lascia agire il capitalismo predatorio non è la risposta. È necessario rifondare una sinistra che guardi alle classi popolari, ai ceti medi proletarizzati, ai nuovi ceti marginalizzati del lavoro precario, anche intellettuale, delle periferie, delle aree interne.
Il Pd non offre prospettive, oggi, per come è. E così, anche per rispondere alle domande poste da Achille Scalabrin su queste pagine, voglio dire perché sono candidato al Parlamento. Da studioso, mi sono sempre occupato di questioni economiche e sociali. Quando Luigi De Magistris mi ha chiesto la disponibilità ho accettato, per portare il mio contributo. L’agone politico è micidiale, ma ritengo che vi sia ancora spazio per argomentare e proporre. Non ho mai fatto attività politica, se non in gioventù. Ho il reddito di un professore universitario, che mi colloca nelle classi medio-alte. E certo, vorrò devolvere parte del mio emolumento a fini sociali.
Vedo la mia candidatura nel collegio di Bologna proprio come un impegno “da bolognese”. Per questo, molti dei temi della mia campagna sono stati coniati “per la realtà locale”. La Costituzione va difesa e attuata. Bisogna agire tassando i ricchissimi e i redditi da capitale alti, agendo sui salari; tutelare il lavoro contrastando il precariato e garantendo la sicurezza; favorire la transizione ecologica puntando sulle rinnovabili, contro gassificatori, Passante, bretelle, seggiovie, consumo di suolo per nuovi insediamenti. Una politica che guardi alle classi popolari, a chi non ha più voce e ha perso la fiducia di esprimerla.
Argomentazioni molto serie
« Argomentare e proporre » Gli spazi occupati da questa campagna elettorale hanno visto di tutto, tranne le argomentazioni informate e le proposte meditate.
L’autore dell’ articolo ci ha fornito un ennesimo discorso da campagna elettorale, con tutti i termini variamente assemblati, pronunciati dai candidati delle varie compagnie politiche.
Sono iscritta al Circolo PD del Pratello, a Bologna. Ho letto questo articolo e rifletto che non rappresenta le motivazioni della mia scelta di
adesione. Ho cominciato a fare politica nei movimenti della fine degli anni ’70, aderendo poi prima alla FGCI
poi al PCI di allora. Dopo anni di “presa di distanza” dalla politica – proprio per la convinzione di progressivo
tradimento delle istanze di sinistra richiamate dal prof Ardeni – mi sono riavvicinata recentemente al PD e
alla politica. Ho trovato naturalmente un partito molto cambiato, anche in funzione delle forti mutazioni
del contesto e dei gruppi sociali, in direzione di una complessità a fronte della quale parlare di “classi
popolari” non mi sembra più un’efficace chiave di lettura per la comprensione della realtà nella quale ci
troviamo.
Perché adesso? Ho visto e vivo il PD come un contenitore nel quale convivono più realtà, più letture, più
individui, con gli obiettivi comuni efficacemente individuati nella applicazione della nostra Carta
Costituzionale. Lavoro, maggiore equità sociale, scuola e sanità pubbliche (ed efficienti), difesa dei più
deboli, dei diritti umani, dei diritti civili e delle diversità, considerazione della specificità femminile e dei
conseguenti diritti e necessità, supporto dei redditi bassi o inesistenti. “Politica liberista” o “lasciar fare ai
mercati” non definiscono il profilo politico del Partito Democratico, non è corretto affermarlo.
Non sempre le scelte sono condivisibili, è forte la difficoltà di una costante mediazione tra proposte di
percorsi diversi per raggiungere obiettivi condivisi, ma è proprio in questa fatica che ho ritrovato la voglia di
fare politica. La mediazione implica certamente una parziale frustrazione per la mancata immediata
accettazione di ogni personale ricetta risolutiva, ma trovo controproducente costruire continuamente
steccati a delimitare ogni diversità di percorso. Come si fa a richiamare la necessità di costruire un nuovo
fronte della sinistra se non si rinuncia a smarcarsi quando non si vedono condivise le proprie ricette, se per
primi non si affronta cioè la fatica della mediazione?
A me il PD offre prospettive non perché condivido sempre e comunque le scelte fatte, bensì perché
all’interno del PD ho trovato agibilità politica per esprimere le mie proposte e osservazioni condividendole
con altri, cercando di determinare i cambiamenti che mi sembrano opportuni, mettendo comunque in
conto che a volte questo sarà possibile e altre no. In questo percorso molte sono le perplessità e molti i
punti di luce costituiti da persone, compagni di strada, agire politico concreto soprattutto in ambito
territoriale. Si va avanti cercando di raggiungere piccoli risultati, con la profonda e antica convinzione che
anteporre le diversità e le divisioni alla fatica della condivisione non sia una strategia efficace.