La risvolta della Bolognina

Dopo il depennamento dei “ribelli” dalle liste elettorali e gli incoraggianti risultati dei sondaggi, nella coalizione di centro-sinistra si respira un’aria di entusiastico ottimismo. Ma i problemi, seppur sopiti, restano. E dopo le elezioni andranno affrontati

di Pier Francesco Di Biase, caporedattore cB


Non credo nella ricerca spasmodica dell’unità, soprattutto quando è insincera e si impasta di ipocrisia, diventando anticamera del conformismo. Non ci credo come metodo, figurarsi come fine. Il principio di ogni cosa è sempre caos, e senza polemos ogni evoluzione, positiva o negativa, diventerebbe semplicemente impossibile.

Non credo nemmeno alle epurazioni, soprattutto in democrazia, anche se non posso non compiacermi dell’esclusione – spontanea o indotta – dal proscenio pubblico bolognese di certo integralismo cattolico, il quale fa molto più male alla religione di quanto non ne faccia alla politica. Il conflitto tra società aperta e società chiusa, tra conservazione e progresso: queste dovrebbero essere le tensioni che animano la contrapposizione politica. Altro che bagatelle correntizie…

Ma tornando a cose più “terrene”, per chiudere la vicenda delle liste elettorali – su cui tanto si è discusso in questi giorni – mi pare sia sufficiente sottolineare come Aitini e i suoi siano caduti vittime di un sistema che loro stessi hanno contribuito a creare, e questo dovrebbe bastare all’osservatore esterno per comprendere quanto il Pd, in questi ultimi anni, si sia trasformato da partito di governo a partito di (scarso) potere.

Per parte mia, posto che non ho mai risparmiato critiche al metodo e al merito di Aitini, ritengo che il suo peso andasse ridimensionato non tanto per la legittima dedizione alla causa della sua sopravvivenza politica, quanto piuttosto per le istanze securitarie che da assessore ha colpevolmente sdoganato e che a parer mio devono rimanere estranee alla vita pubblica di questa città. Istanze che vanno combattute a prescindere dall’appartenenza partitica, perché sono un fatto culturale ancor prima che politico.

Come ho già avuto modo di scrivere all’inizio di tutta questa vicenda, il duello tra Lepore e Aitini è stato per molti versi uno scontro tra due debolezze e su questo dovrebbero riflettere quanti hanno a cuore il buon funzionamento della democrazia. Perché se è vero che «il potere logora chi non ce l’ha», data l’alta “mortalità” politica, si deve dedurre che in questo paese un po’ di potere spetta praticamente a chiunque, eccezion fatta per i politici.

Debolezza che è anche del partito democratico, almeno a guardare la composizione delle liste. Una overdose di figure civiche che sa più di richiesta d’aiuto che di apertura di credito alla società civile, mentre tra aspiranti consiglieri e assessori le candidature “di partito” pendono decisamente verso il feudo identitario della Bolognina, col rischio grosso di trasformare il prossimo Consiglio Comunale in un Consiglio di Quartiere allargato. Potenzialmente son praterie per la Conti, soprattutto se Aitini&co. decideranno di scendere dall’Aventino e convergere sulla sua lista, come sarebbe stato più coerente sin dal principio.

Che in cinque anni il Pd non sia riuscito a formare una classe dirigente rinnovata, diffusa e dinamica da proporre alla città la dice lunga sul reale stato di salute di un partito che, secondo i maledetti sondaggi, a ottobre dovrebbe comunque incassare una percentuale elettorale che oscilla tra il 35 e il 40%. Un risultato che, qualora fosse confermato, rischia di fare del Pd la classica “tigre di carta”, a maggior ragione se Coalizione Civica e Lista Conti dovessero raccogliere insieme un 15-20% dei voti. 

Dello stato “fluido” dell’arte il miglior fico del bigoncio deve essere ben consapevole, soprattutto se cerca di mettersi avanti col lavoro e intestarsi il ruolo di federatore evocando il partito unico, come ha fatto di recente alla presentazione della sua lista personale. Ma da quel poco che si è potuto leggere sui giornali, non è ben chiaro cosa si debba intendere con il termine “laburista”. Socialdemocrazia infatti non è il partito democratico all’americana immaginato dall’Ulivo e nemmeno il veterocomunismo nostalgico che ancora serpeggia fuori e dentro i circoli Pd.

Per quanto mi riguarda – sarò pure un ingrato millennial, pazienza – in futuro preferirei più dibattiti sull’evoluzione del welfare nella società digitale postcapitalista e meno convegni sull’eredità politica di Berlinguer. In ogni caso, mi auguro che dopo le elezioni ci sia tanto tempo per discuterne…

In coda, un invito e un augurio per i tanti miei coetanei che dalle liste elettorali si affacciano finalmente sulla scena politica cittadina. Avete dieci anni per prepararvi, sfruttateli bene. Possibilmente, favorendo sempre il concetto di egemonia a quello di centralismo. Il primo è una filosofia di vita. Il secondo un mero esercizio di potere.


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