Il civismo è un fenomeno di costume

Un esercizio semantico basato, il più delle volte, su una pretesa di unicità che è solo un trucco. Destra e sinistra esistono ancora, nonostante la retorica del post-ideologismo

di Pier Francesco Di Biase, caporedattore cB


Circa una decina di anni fa, durante una pausa caffè, un amico in vena profetica mi assicurò che il futuro della politica italiana, indipendentemente dagli esiti della parabola populista allora acerba, sarebbe stato il “civismo”. Sentenza che a ripensarci col senno di poi sa di anatema, soprattutto per chi, come il sottoscritto, non ha mai provato alcuna fascinazione per questo gallicismo oggi tanto e immotivatamente popolare.

Colgo dunque l’occasione dell’ultima tornata amministrativa e del triangolare budriese tra De Plato, Morini e me per togliermi un dente che, come si evince dal preambolo, duole da un po’.

Perché a casa mia civico è il “senso” (laddove esista ancora) o al limite un museo. E certo può esserlo anche l’impegno di uno o più cittadini che si adoperano per la loro comunità. Ma allora – mi domando – non basta una Aps o una cooperativa? E poi sbaglio o è esattamente quella la ragione sociale dei partiti?

Il cosiddetto civismo politico, dunque, mi è sempre sembrato un fenomeno di costume. Un esercizio semantico basato il più delle volte su una pretesa di unicità che, per dirla con Bacchiocchi, è solo un “trucco”. Un maquillage la cui essenza, dalle Alpi alle Piramidi e dal Manzanarre al Reno, si potrebbe riassumere in uno striminzito annuncio da “Te lo regalo se vieni a prenderlo”, condito di politicamente corretto in ossequio ai tempi:

Candidatə civicə, volitivə e indipendentə, cerca elettorə dispostə a credere sulla parola

Morini probabilmente sosterrebbe che il mio è un teorema. Io gli risponderei che mi limito più modestamente a osservare i fatti. E i fatti dicono che, in un paese dove nasce un partito a settimana, la scienza statistica tanto cara a Maurizio dovrebbe suggerire che ciascuno di noi, magari impegnandosi un pochetto, ha una buona possibilità di trovare un’aggregazione politica che lo faccia sentire compreso, prima che sia costretto a fondarne una tutta sua per soddisfare il desiderio di essere rappresentato. E i partiti, geometria euclidea o meno, si collocano a destra o a sinistra (e per chi è credente anche al centro).

A riprova di quanto sopra, sta il fatto che la fase in cui siamo già ci permette di individuare, a ogni elezione, civici “di destra” e civici “di sinistra”, con un evidente abuso di aggettivi a corredo ma senza per questo dover calcolare delta e scarto quadratico medio nella composizione ideologica delle liste. E tanto Maurizio Mazzanti a Budrio quanto Fabio Battistini a Bologna non si sono fatti problemi a incassare il sostegno di partiti o esponenti politici dichiaratamente di destra. Ergo, se la collocazione si può individuare agevolmente, dove sta questa famosa “alterità” del civismo?

Ma tentiamo pure una dimostrazione per assurdo, assumendo che questa alterità ci sia. Perché mai allora, come ha ricordato Balzanelli, dopo aver provato “gli altri” l’elettorato tende a rientrare all’ovile? Un ovile, aggiungo io, che ha fondamenta ben piantate da una parte o dall’altra. Non a caso, i due partiti più votati dello stivale alle amministrative del 12 giugno (Pd e FdI) sono quelli che una qualche nube ideale – oserei dire ideologica – ancora ce l’hanno. É evidente quindi che l’equazione non regge: destra e sinistra rimangono; il resto passa e va.

Resta da capire perché l’opinione pubblica, di tanto in tanto, si faccia sedurre da questo nuovismo politico. Mi si dirà che il post-ideologico si adatta naturalmente alle circostanze, ricevendo gli input direttamente dalla società a cui si rivolge. Il problema grosso, però, è che così facendo la politica rinuncia irrimediabilmente al ruolo di guida, preferendole quello di interprete. E le interpretazioni, come tutte le traduzioni, sono soggette a perdita di significato. Un significato che in cinque anni, come dimostra l’epopea a cinque stelle, si può anche smarrire del tutto.

A mio umilissimo parere la questione, per i partiti, non può risolversi in una semplice operazione di “risintonizzazione” con la base elettorale. Serve ricercare una strategia che, in prospettiva, sia capace di filtrare le istanze provenienti dalla società con un impianto quantomeno ideale, declinandole in accordo con un campo valoriale stabile e predefinito.

L’alternativa, allo stato attuale, è quella che noi tutti vediamo: rincorrere il presente, sperando che non acceleri troppo presto.


Un pensiero riguardo “Il civismo è un fenomeno di costume

  1. Begli stimoli Pier Francesco. Dibattito interessantissimo e credo anche necessario quello che tu stimoli. Mi riservo di approfondire con il giusto tempo. Grazie. Maurizio

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